Kobe il secondo

13 Ottobre 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
1. Kobe Bryant è il secondo sportivo più popolare del mondo, superato solo da Tiger Woods. Ad affermarlo in un’intervista allo Sport Business Journal è il suo agente Rob Pelinka, quindi non proprio una persona disinteressata, ma si può giusto discutere sul posto in classifica e non certo sul fatto che il 24 dei Lakers abbia un’immagine più internazionale rispetto ad altri pari grado della NBA. Nike e Coca Cola non distribuiscono soldi a caso, le vendite di magliette e soprattutto le ricerche su Google non mentono. Un minuto prima di scrivere questo post abbiamo verificato di persona: 9.190.000 risultati per Le Bron James ‘puro’ (cioè senza altre parole cercate insieme), 13.500.000 per Kobe. Sempre meglio controllare, perchè a sensazione avremmo pensato il contrario. E Tiger Woods, curiosità? 29.600.000. Va anche detto che il mitologico uomo della strada farebbe fatica ad indicare il nome di un secondo golfista sul globo terrestre, mentre la NBA bene o male qualche personaggio riesce sempre a produrlo.
2. Trenta squadre per quindici giocatori a contratto, uguale quattrocentocinquanta posti a disposizione. Abbandonare il sogno NBA è dura, specie per chi è di scuola americana, per questo uno come Carlos Arroyo ha abbandonato le relative certezze europee (l’ultima stagione l’ha passata, non tanto bene a parte l’immancabile titolo nazionale, al Maccabi Tel Aviv raddrizzato dal ritorno di Pini Gershon) per andare a guadagnare un milione di dollari scarsi ai Miami Heat come cambio di Mario Chalmers. Pochissimo di più del minimo salariale, per giunta con un contratto che diventerà garantito solo a gennaio. Di sicuro l’eroe portoricano sputerà sangue per…mangiare il panettone e rimanere in quella che considera casa sua: college a Florida International, casa a Pinecrest. Cosa vogliamo dire? Che quando ci sono orgoglio e ‘garra’ non puoi accettare che ti mandino in pensione a trenta anni, anche se sul piano finanziario questa pensione ti converrebbe.
3. La NBA è in crisi finanziaria? Crisi preventiva, forse, stando a quello che i proprietari hanno detto nel recente incontro con l’Associazione Giocatori. In sintesi: con il contratto collettivo attualmente in essere (scadenza 2011) nelle prossime stagioni le perdite aggregate potrebbero raggiungere i 300 milioni di dollari l’anno. Piagnistei quindi preventivi (parliamo della lega e non di singole franchigie), funzionali alle trattative ma smentiti dai bilanci: in una stagione di crisi per tutto l’entertainment mondiale, la NBA ha infati aumentato il suo fatturato del 2%. Ci sono segnali negativi, come lo sblocco delle famose linee di credito avallato dalla lega stessa, ma visto da lontano sembra tutto uno schema italianissimo: ingigantire la portata di una crisi per dare concretezza a riforme strutturali e ‘padronali’. Billy Hunter, rappresentante dei giocatori, ritiene che nel 2011 il lockout tipo 1998 sarà più di un’ipotesi: per questo la strategia è quella di migliorare la situazione patrimoniale della NBPA (ultima rilevazione: 133 milioni di dollari) attraverso un prelievo percentualmente maggiore, invitando nel contempo i giocatori a mettere il 20% dei loro ingaggi attuali in un fondo speciale. Se sarà guerra, meglio combatterla da ricchi.
4. Fra i piagnistei standard c’è anche quello sullo scarso utilizzo degli italiani nel nostro campionato. Dalla prossima stagione si provvederà con un pizzico di protezionismo in più (tre extracomunitari più due europei, in alternativa al due più quattro), in quella attuale la realtà è che il colpo italiano dell’anno, cioè Stefano Mancinelli, ha giocato nella partita d’esordio a Varese 13 minuti con 3 punti, 2 rimbalzi e la certezza di essere anche in pratica poco più del cambio di Mike Hall. Bucchi è autolesionista, non capisce il basket, ha una questione personale con Mancinelli? A quanto si sa, no. Il problema, dal punto di vista del pubblico, non è il passaporto ma la sensazione che tutti siano di passaggio o almeno intercambiabili: nessuno a Milano manifesterà per Mancinelli, ma il suo inizio da comprimario fa comunque impressione, visto che nella Fortitudo dell’anno scorso giocava una media di 33 minuti e passa e che nella pur disastrosa Nazionale 2009 è stato presente.
5. Fragiskos Alvertis sembra sia sempre esistito, anche se ha solo 35 anni e anche se le ultime delle sue 19 stagioni al Panathinaikos sono state più che altro da agitatore di asciugamani. Due giorni fa la sua partita di addio contro il nuovo CSKA Mosca di Pashutin, in una OAKA strapiena: 18mila spettatori per un’amichevole ben lontana da una rivincita di Eurolega, vinta dal Pana 82 a 69, con uscita dal campo di Alvertis (ha chiuso con un canestro da tre punti dei suoi), maglia ritirata e lacrime vere. Mille trofei alzati, fra cui 5 euroleghe (solo il presidente della FIP ne ha vinte di più), con l’intelligenza di adattarsi a ruoli anche psicologici diversi nelle varie fasi della carriera. Tiratore come pochi, come pochissimi nei momenti decisivi (l’Italia 2001 di Tanjevic lo ricorda bene), e difensore ai confini della sufficienza, Alvertis ha vissuto ai livelli più alti possibili l’evoluzione del basket europeo quando in panchina si sono seduti allenatori con la coscienza che tirare 6,25 metri convenisse: da gioco dai vari stili, con esterni (nonostante i 2.05 lui nasce come guardia) a supporto dei lunghi, a sport in mano ai piccoli con mega-rotazioni (in questo senso il Pana ha fatto scuola), centri buoni solo a portare blocchi e presunte ali grandi dal gioco solo frontale: proprio da ‘4’ l’Alvertis più recente ha fatto bene in diverse situazioni. Un basket vittima delle magate degli allenatori, sempre alla ricerca dell’accoppiamento giusto (perché nel frattempo le zone sono state declassate a difese di situazione), che ha creato mostri inguardabili ma anche macchine meravigliose ed equilibrate come il Panathinaikos di Obradovic. E di Alvertis.
stefano@indiscreto.it

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