Correndo correndo, intervista a Sebino Nela

2 Febbraio 2021 di Simone Sacco

In occasione dell’uscita della struggente autobiografia di Sebino Nela Il Vento in Faccia e la Tempesta del Cuore (breve, troppo breve ma scritta magistralmente da Giancarlo Dotto) abbiamo interpellato l’ex cuore giallorosso (11 stagioni nella Roma per il terzino dopo gli esordi al Genoa e il finale di carriera a Napoli) per sottoporlo ad un’intervist. in esclusiva per Indiscreto, che riguardasse principalmente le sue vicende calcistiche. Rallegrandoci che la sua lunga battaglia contro il cancro (iniziata nel 2012 quand’era ancora commentatore Mediaset) sia finalmente alle spalle e che Sebastiano (il nome con cui si identifica meglio oggi: «Sebino è per i tifosi e i giornalisti», chiosa lui) continui a mutare come già faceva egregiamente in campo. 

Mutare” nel senso che il protagonista di Correndo Correndo (ballata pop che Antonello Venditti scrisse per Nela dopo un suo brutto incidente al ginocchio) anche alla soglia dei sessant’anni non è il classico “mister faded glory”, l’ex giocatore che vive di ricordi, nostalgia, retorica e quattro cazzate in croce da spogliatoio. No, l’Incredibile Hulk è qui per finire ciò che ha iniziato più di quarant’anni fa. Entrare pulito coi tacchetti sul pallone. Prendendo prima lo slancio. Sradicando zolle e untuosi luoghi comuni. Picchia per noi, Sebino. Ma picchia sul tasto giusto: quello della schiettezza.

Allora, come stai?

Ora sto bene. Ad ottobre mi sono sottoposto ad un nuovo intervento di “ripulitura” ed è andato tutto alla perfezione. Spero sia stato davvero l’ultimo perché quattro operazioni in otto anni non sono poche.

Il tuo libro si intitola Il Vento in Faccia e la Tempesta nel Cuore, ma forse avresti anche potuto chiamarlo ‘La versione di Nela’. Nel senso che fai molti confronti impietosi tra il calcio di ieri e i divismi odierni…

Assolutamente sì. E, sai, non è nemmeno detto che si debba sempre tirare in ballo la retorica se, tra gli anni Settanta e Ottanta, certe cose di calcio funzionavano in una certa maniera. E funzionavano pure bene!

Parli dell’attaccamento alla maglia e delle esultanze moderate dopo un gol?

Anche. Ai miei tempi se il giocatore segnava, alzava le braccia e finiva lì. Oggi partono subito i balletti e le mosse da circo. Ci troviamo in mezzo a una sorta di esasperazione ego-riferita che non comprenderò mai.

C’è chi dice che questa sia l’epoca migliore per avere cinquant’anni. Per essersi scampati certi riti sociali e di marketing…

Io credo che l’esperienza porti inevitabilmente alla maturazione. Tra le pagine del libro ci ho messo lo stesso approccio con cui ho educato le mie due figlie. Oggi sono due donne di 28 e 26 anni che non smettono mai di farmi sentire orgoglioso. Con loro ho sempre parlato liberamente di tutto, politica compresa. E poi le ho lasciate libere di scegliere.

A proposito, tu non sei esattamente uno che bazzica dalle parti di Marx e Che Guevara. Ti sei mai sentito ostracizzato per certe tue idee?

In carriera no, visto che nello spogliatoio non si discuteva di politica. Dopo forse, se parliamo di ambienti televisivi, potrei anche essere stato giudicato negativamente, vai a sapere… (riflette, ndr) Magari durante qualche cena, davanti a un bel piatto di pasta, a qualcuno saranno pure fischiate le orecchie! (ridacchia, ndr) Ma toni accesi no, quelli mai. E comunque non capisco perché mi devo giustificare in pubblico se mi sento italiano, tanto italiano. Ho fatto il militare nel corpo dei Bersaglieri, nutro stima per la Brigata Sassari, i miei valori sono questi.

E ce l’hai a morte col politically correct di quest’epoca…

Più che altro mi infastidisce chi cavalca l’onda. Oggi ci sono troppe cose che vanno di moda e regolarmente molti, troppi si accodano. Pure Michael Jordan, un mio eroe assoluto: mi spieghi chi gliel’ha fatto fare d’andare a impelagarsi col movimento BLM? Oppure certi piloti della Formula Uno che se la prendono verso chi non si inginocchia a comando. Vengano a dirmelo a me che, in vita mia, non mi sono mai inginocchiato. Neanche in chiesa.

E il calcio? Pure “lui” bacchettone di facciata?

Lì non sopporto quei dirigenti che piombano negli spogliatoi cinque minuti prima della partita, ti fanno indossare la t-shirt carina per la causa umanitaria e, al fischio dell’arbitro, è già tutto finito. Si litiga per il VAR o per il contatto di gomito. Si pensa solo ai propri interessi. Io, se permetti, dalla lotta al cancro ci sono passato. Ed è una roba seria.

Che ne pensi della rissa Lukaku-Ibrahimovic che ha monopolizzato i media per una settimana intera?

Che è stata una roba di campo. Hanno litigato come due esseri umani e la cosa doveva finire lì. Mica si sono ammazzati. E ai moralisti di turno domanderei se si sono mai esibiti in un grande stadio e hanno mai provato l’adrenalina che ti coglie in quelle circostanze. Non l’hanno mai fatto, vero? Eppure sono gli stessi che scrivono lettere indignate ai direttori di giornali (che gli rispondono pure!) prendendo le parti di Lukaku o Ibrahimovic. Pazzesco…

Non per niente l’ho chiesto a te, che una volta hai mostrato il dito medio a mezzo Dundee United dopo aver conquistato una finale di Coppa dei Campioni…

(ride, ndr) Eh, lì mi sono avvicinato più di tutti all’occhio del ciclone! Comunque il bersaglio di quel dito era Jim McLean, l’allenatore del Dundee, che, pace all’anima sua, è morto qualche tempo fa (il 26 dicembre 2020, lo scorso Santo Stefano, ndr). Con quel 3-0 all’Olimpico la Roma era approdata in finale ribaltando il 2-0 scozzese dell’andata. Eppure McLean, dopo la prima partita, che fa? Comincia a sputtanare l’Italia e gli italiani dicendo che eravamo brutta gente. E così, al novantesimo, sono andato a dirgli due paroline anch’io…

Senti, l’hai letto il libro di Roberto Pruzzo uscito qualche anno fa?

Pruzzo che fa un libro è una frase che fa già ridere così… (sorride, ndr). Comunque onore al Bomber, siamo amici per la pelle da una vita.

Il Bomber si lamentava d’aver sofferto di depressione in quelle pagine e pure tu, in Il Vento in Faccia, hai i tuoi bei momenti di chiaroscuro. Senza stare a citare il caso estremo di Agostino Di Bartolomei, la mia domanda è: vincere uno scudetto a Roma, nel pieno degli anni Ottanta, in mezzo a tutta quell’euforia, può lasciare degli strascichi quando si torna alla vita normale?

No, per me si tratta solo di casualità. Noi calciatori restiamo delle comunissime persone, esseri umani a cui capitano delle cose. Malattie e tristezze comprese. Non ti levi la vita se sai che alla domenica non avrai più la partita da giocare. Il caso di Ago fu molto di più, se è questo che volevi chiedermi. E per me la vita di Ago finisce esattamente un istante prima di quel tragico sparo. Di lui mi porterò sempre tutto il prima. Ed è stato un “prima” meraviglioso.

Veniamo a Roma-Liverpool del 30 maggio 1984. i 120 minuti (più rigori) di cui nella Capitale si discuterà per sempre. Tu, nel libro, ne parli soprattutto per rimarcare il rifiuto di Falcao di battere il suo penalty. Una scelta inaccettabile, secondo il tuo modo di vivere. Ma quella finale fu anche molte altre cose, no?

Fu un bel po’ di cose. Noi troppi inesperti in campo europeo contro un Liverpool scafato, immenso, forse il più forte di tutta la sua storia: Souness, Dalglish, Rush, Whelan ecc, non so se hai presente… Noi troppo pressati dalla concentrazione pre-gara; loro a spassarsela al sole in Israele, durante una tournée dove si erano portati dietro anche le mogli e le fidanzate.

E voi a sgobbare in Trentino.

Sì, noi confinati in montagna a Cavalese per quindici lunghi giorni, a lavorare sul fondo, come se fosse luglio e ci aspettasse giusto qualche amichevole estiva. Arrivammo all’Olimpico imballati come bestie. Completamente ignari di tutto il clima festoso e ottimista che si respirava a Roma in quei meravigliosi giorni di primavera. Dovevamo respirarla tutta quell’aria, immergerci a fondo in tutta quella follia contagiosa. Ci avrebbe fatto decisamente meglio. Sempre col senno di poi, beninteso…

Eppure eravate forti anche voi.

Certo che sì: quella era una Roma fortissima (seppur priva di Ancelotti, infortunato, ndr). Ci credevamo. Eppure…

Eppure qualcuno sfidò la scaramanzia organizzando un concerto di Antonello Venditti al Circo Massimo che avrebbe dovuto chiudere in maniera trionfale la serata “di coppe e di campioni”.

Già. (sospira, ndr)

Ok, mi spieghi perché due anni dopo, domenica 20 aprile 1986, la storia si ripete con Dino Viola e il sindaco di allora, Nicola Signorello della DC, che prima della sfida decisiva col Lecce – all’epoca c’era in ballo il campionato – si fanno un completo giro di campo per raccogliere gli applausi dello stadio? A ridagli con questa idea di stuzzicare la sorte…

Vuoi la verità? Non mi sono mai chiesto né spiegato il perché. Il presidente fece il giro di campo e si gustò il calore della folla? Vabbè, a quei tempi ci allenava Sven Goran Eriksson, mica Liedholm! Probabilmente col Barone, scaramantico com’era, non sarebbe mai successo! (ride, ndr). Battute a parte, la mia stima, immensa e infinita, per l’ingegner Viola va ben oltre ogni logica di cabala. Contro quel Lecce, retrocesso e ultimo in classifica, bisognava vincere e basta. Un bel 4-0 e tutti a casa a pensare alla trasferta di Como (ultima sfida in programma la domenica successiva, ndr). Anche qui, ovviamente, col senno di poi…

Non è sbagliato impegnarsi a vincere anche se la cosa ti porterà in serie B, no?

In Inghilterra una cosa così è normale. Si lotta per la maglia, per la società che ti paga lo stipendio, per l’orgoglio che non deve mai venire meno. Per lo sport, insomma. In Italia, invece, perdi una partita col Lecce – retrocesso da settimane ma che corre a 200 km/h – e immancabilmente vengono fuori i misteri…

Tipo la voce che qualcuno si vendette la partita al totonero?

A me sembra assurdo solo a pensarci. Voglio dire: rivinci il campionato a Roma e già lì si sfiora la leggenda. Poi ti cucchi un premio-scudetto, ti assicuro, molto molto allettante. Vai dal presidente e gli chiedi di ritoccarti il contratto in scadenza e lui immancabilmente lo farà. L’anno dopo rigiochi in Coppa dei Campioni. E tu calciatore (tu, beninteso, e minimo altri quattro tuoi compagni di squadra) che fai? Rinunci a tutto questo per cosa? Per quanto? 5 miliardi dell’epoca? Quanto vale mandare a quel paese la gloria? Guarda, metto mani e piedi su un braciere ardente, a nome mio e di tutta la squadra, che quel giorno col Lecce non andò così. Non andò affatto così.

Quindi avevate finito la benzina la settimana prima vincendo a Pisa e agganciando in cima alla classifica la Juventus?

Molto probabile. Col Lecce siamo pure andati in vantaggio 1-0 (altra scelta cervellotica se hai deciso di venderti in partenza la gara…) e poi ci siamo eclissati di fronte alla loro forza fisica. Ok, conosco la storia: qualcun altro, magari da una grande città del Nord, può pure avere offerto un sostanzioso premio-partita ai leccesi, ma tu da giallorosso te ne freghi. Devi fregartene. Vai in campo, gliene fai quattro e hai voglia ad offrire incentivi economici! Quella partita andava vinta, punto. Col Liverpool ci poteva anche stare di perdere, ma contro quel Lecce mai e poi mai. Tutto il resto sono favole.

Possiamo tornare un attimo a Roma-Liverpool prima di salutarci?

Mmh, forse so già cosa stai per chiedermi.

Minuto 76, partita bloccata sul 1-1. Imbeccato da Bruno Conti scatta un certo Nela sulla sinistra e si avvicina, smarcato, all’area di rigore. Hai sui piedi la palla del vantaggio…

E invece passo in linea orizzontale a Graziani. Che si fa bloccare dai centrali dei Reds.

Ci dormi la notte?

Ci dormo perché, arrivato a quel punto, avevo già deciso di non tirare. Volevo servire Ciccio perché nel calcio esiste anche l’altruismo. E se il tuo attaccante sta scattando in avanti, tu magari gliela passi pure, senza farti tante menate. Posso aggiungere una cosa?

Prego.

Meno male che non ho tirato e non ho siglato il gol del secolo. Probabilmente sarei impazzito a gestire tutta quella popolarità.

Stai scherzando, vero?

Certo! (ride) Ma ci pensi? Roma-Liverpool, Ago che alza al cielo la coppa, rete decisiva di Nela dopo che gli inglesi erano andati in vantaggio con… Neal! Sarebbe stata la battuta più bella del dio del calcio.

 

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