I vincenti contro Zuckerberg

6 Settembre 2012 di Stefano Olivari

Dai 38 dollari dell’offerta pubblica di febbraio ai 18 e rotti di adesso, questa la quotazione di un’azione di Facebook. Insomma, chi ha creduto in questo titolo all’ìnizio si trova adesso con un capitale dimezzato, con la magra consolazione di leggere un giorno sì e un giorno anche editoriali contro Mark Zuckerberg (più raramente contro le banche iniziali sottoscrittrici che hanno poi scaricato il titolo  alla clientela ‘peggiore’) con vagheggiamenti di class action e prese in giro della cosiddetta ‘bolla tecnologica’ (come se Google fosse la stessa cosa di Freedomland). Non siamo grandi fan di Facebook, nel senso che siamo doverosamente iscritti ma che quasi mai leggiamo messaggi e aggiornamenti di stato, ma in questo caso ci sembra che anche i giornalisti di settore stiano ragionando come le vecchiette che si fanno rifilare da quell’impiegato di banca ‘tanto perbene’ titoli obbligazionari della banca stessa che hanno un rendimento simile a titoli di stato italiani della stessa durata e un mercato secondario (in altre parole, la possibilità di rivenderli) davvero modesto. Episodi di cui siamo stati testimoni, essendo i consulenti di una di queste vecchiette (per dire come sono messe male). Con il paradosso che la banca sfrutta il crollo delle sue obbligazioni, mettiamo a 80 euro (ma si è visto di molto peggio) sui 100 nominali, per ricomprarsele realizzando così il delitto perfetto: il cliente di fatto paga per il privilegio di finanziare la banca. Meglio tenersi i soldi nel puff, come il mitico Poggiolini. Ma dicevamo di Facebook, che alla quotazione attuale stra-compreremmo e non solo perché Zuckerberg stesso ha annunciato che non venderà i propri titoli. Il punto non è tanto la giustezza del prezzo iniziale e nemmeno l’eventuale condotta truffaldina delle banche che hanno curato il collocamento (vale per tutti i titoli azionari, ovviamente), ma il fatto che chi queste azioni se le è trovate in mano lo ha fatto perché pensava nel breve o nel medio periodo di guadagnare. Se poi non era consapevole del rischio, teoricamente totale (vedi Lehman Brothers), l’ignoranza non è un’attenuante. In altre parole, se questi scandalizzati piccoli investitori si fossero ritrovati dopo un mese il titolo a 76 dollari non è che avrebbero mandato una bottiglia o un dolce a casa Zuckerberg. Un meccanismo psicologico, quello di chi crede che si possa solo guadagnare e mai perdere, ben descritto in alcune memorabili scene dell’Eclisse, il film di Antonioni in cui uno dei protagonisti (Alain Delon, l’altra è Monica Vitti) lavora come agente alla Borsa di Roma (che è esistita, almeno in maniera formale, fino agli anni Novanta) e manda affanculo tutti i clienti che si lamentano per la diminuzione del valore dei loro titoli. Questi ‘vincenti’ non tollerano di perdere, quando tocca a loro.

StefanoOlivari, 6 settembre 2012

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