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Alla ricerca del Vasco perduto

Giorgio Faletti, Ufo Piemontese

Glezos 28/07/2014

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“Ragazzi, complimenti sul serio. Vengo sempre a vedervi, mi piacete un casino, siete di quelli veri”. Se non fosse Giorgio Faletti a dircelo, penseremmo a un cabarettista in vena di prese per il culo.

Fermi tutti. Giorgio Faletti lo è, un cabarettista, e di quelli ultrafamosi. Dicembre 1988, lui è quello di ‘Drive In’, la star, il Catozzo, insomma proprio lui. Noi siamo gli Ufo Piemontesi, ci siamo formati da un mese e il nostro modo un po’ alla francese di suonare il rock’n’roll è in realtà l’ultimo grido prima di buttarci dal Duomo. Ma la sua faccia (“è lui o non è lui?”) la vediamo tutti i lunedì sera al tavolo in basso a destra sotto il palco, aggiungendoci un “non è lui, gli somiglia troppo”.

Invece eccome se è lui. Ed è una presenza fissa al confine della militanza a tutte le nostre esibizioni al Notorius, discoteca in pienissimo centro a due passi dalla casa di Ornella ‘Vanella’ Vanoni. Qui ogni lunedì notte va in scena ‘Vox Populi’, hellzapopping messo insieme da Roberto Manfredi (fratello minore del più famoso Gianfranco, cantautore movimentista anni ’70 prima e scrittore-regista poi) e Roberto Gatti, critico musicale su un po’ di giornali che contano. Insieme agli altri, i due fonderanno di lì a poco i Figli Di Bubba di sanremese memoria, che poi utilizzeranno come band noi Ufo quasi al completo. Il lunedì la follia è sul menu: Florence Guerin, Roberto Freak Antoni, il quasi esordiente Gene Gnocchi (con suo fratello Charlie), glorie del r’n’r italico anni ’50 come Ghigo Agosti – il Ghigo della ‘Coccinella’ riproposta da Ivan Cattaneo -, eccentrici, ballerine del ventre, maghi, fantasisti, ballerine normali ma anche gente agli opposti come la coppia di Elvisfanatici Nicola Berti-Aldo Serena, Luca di Montezemolo, la PFM e persino Bono e Adam Clayton (che una sera arrivano a un passo da esibirsi con noi in un omaggio alla Sun Records vendemmia 1954, ma questa come dice Marino Bartoletti è un’altra storia). La nostra prima volta è stata proprio qui a Vox Populi, dopo una prova di mezz’ora fatta il pomeriggio prima con 4-pezzi-4 in repertorio, tutti semiclassici di rock’n’roll da Chuck Berry a Johnny Burnette, con Maurizio Arcieri dei Krisma come ospite nel caotico bis (‘Sick & Tired’ di Fats Domino, che Maurizio aveva coverizzato con i suoi New Dada nei sixties col titolaccio ‘Non dirne più’). Giorgio Faletti è lì fin da quella fatidica prima volta: ogni lunedì arriva sempre solo, si siede allo stesso tavolo in basso a destra sotto il palco e se ne sta lì pensieroso. Sempre ammesso che sia lui.

È talmente lui che quel lunedì di gennaio bussa al camerino (l’ufficio del direttore di sala). “Vi posso parlare un attimo? Non so come dirvelo…io ho da sempre un sogno: suonare la chitarra ritmica in una band. Volevo chiedervi… se vi farebbe proprio schifo che mi unissi a voi per un paio di pezzi, quelli che volete voi, quando volete voi… no, scusate, fa niente”. Ma come fa niente, figurati, è un onore, Giorgio, quando vuoi tu. “Cazzo, se ci state non sapete quanto mi fate contento”. È davvero imbarazzato, mica fa finta. Poi con un guizzo alla Catozzo: “Posso venire alle prove?”. Gli butto lì un “e se ci trovassimo qui lunedì prossimo nel tardo pomeriggio? Scegli un paio di pezzi dove canti tu, ovviamente”. Chiediamo il permesso a quelli del locale, che appena vedono Faletti non fanno problemi (se si fosse trattato di una prova solo nostra, apriti cielo). Appuntamento tra sette giorni alle sei del pomeriggio, sesto Ufo Piemontese.

Arriviamo un po’ in ritardo come sempre, lui è già lì e stavolta no che non lo riconosciamo. Il giubbotto da aviatore A2 Schott marrone scuro lo accorcia un po’, ma il colpo decisivo è la coppola calata sugli occhi che lo nasconde al mondo, alla Andy Capp. “No, alla Brian Johnson”, ribatte serio: il paragone rock oggi è più pertinente, anche se nemmeno un topo cieco lo confonderebbe col cantante degli AC/DC. Giorgio è tesissimo e soprattutto preoccupato, mentre prepariamo gli strumenti sul palco mi viene vicino e mormora: “Sono terrorizzato, me la sto facendo addosso”. Lo guardo. Mi guarda. Ci guardiamo. Tra amici, in un’atmosfera più che rilassata e a Notorius deserto: fa niente, lui è nel panico lo stesso a cinque ore dalla sua personalissima Ora X. Con fare imbarazzato tira fuori dalla custodia una magnifica Gibson Firebird da collezione. Stefano – l’Ufochitarrista di ruolo – non prova invidia, a casa ne ha una identica. Nel locale ci siamo solo noi e un paio di inservienti, Giorgio ci propone ‘Cadillac Ranch’ e ‘I’m A Rocker’ di Springsteen da ‘The River’, “ma non le voglio cantare io, dàì”. Insorgo: come no, canti tu e basta, eccheccazzo, gli accordi erano questi. Gli altri accordi, quelli dei due brani del Boss, Giorgio li conosce bene. Sono seduto su una cassa e lo guardo, mi sorride mentre suona accompagnandosi con movenze da cantautore. Si toglie lo Schott, il suo vestiario (maglioncino scalfato a V, jeans, scarpe alla Tod’s) è poco rock tranne la coppola-alla-Brian-Johnson. In una ventina di minuti siamo a posto, la prova è filata liscissima e scendiamo dal palco tra frizzi e lazzi. Sulla strada verso la pizzeria lui scuote la testa: “Lo so cosa succede”, mi dice, “va a finire che poi mi impappino e mi perdo in mezzo a un pezzo. Vedrai”.

“Non succede, ma se succede…”. Non è un proverbio per noi, che abbiamo iniziato la serata come al solito fin troppo sicuri di noi stessi: qualche pezzo di Johnny Kidd, Vince Taylor, Gene Vincent e altri monumenti del r’n’r vintage. Il locale pieno imballato, tutti ci conoscono già ma sembriamo piacere ogni volta. Siamo certi che la profezia di Giorgio non si verificherà e che tutto andrà senza intoppi. A metà scaletta introduco il sesto Ufo: “Stasera abbiamo con noi un nuovo componente del gruppo, un chitarrista tosto come pochi. Siamo felici di tenere a battesimo la sua prima serata nella band nel locale dove ci siamo incontrati. Ladies & gentlemen, Giorgio Faletti on rhythm guitar…”. Ovazione degli astanti, io mi faccio da parte. Lui arriva con la fedele coppola calata sugli occhi, si sistema il microfono ed esordisce con un “Beh, ringrazio tutti, soprattutto gli Ufo che hanno avuto il buon cuore di permettermi di realizzare un mio sogno. Il problema è che Glezos mi ha obbligato a cantare due pezzi, quindi prendetevela con lui”. One, two, three, four e la Ufo Street Band attacca una “Cadillac Ranch” dal mood quasi crepuscolare. Giorgio Faletti non sarà un rocker all’apparenza o nelle movenze, ma la sua performance anche vocale è  del tutto credibile: mi sorprendo a fare paragoni con qualche altro considerato professionista della musica, sicuramente inferiore a lui: Giorgio, ma di cosa cazzo hai paura? Scendono le grida e gli applausi e lui introduce il secondo pezzo quasi scusandosi: “Adesso ne facciamo un’altra, poi la smetto e scendo tra di voi a vedere la vera band, quelli veri”. Stefano stacca il tempo, il gruppo scivola in “I’m A Rocker” e Giorgio ci si butta dentro sempre più sicuro e a suo agio.

Poi succede. Farfugliando qualcosa prima smette di cantare, poi accenna qualche accordo, poi la sua chitarra scende di volume e si ferma. È impietrito davanti al microfono con la chitarra a tracolla e le mani aggrappate allo strumento come a una balaustra, guarda dritto davanti a sè con gli occhi sbarrati, non respira quasi. Gli altri sul palco continuano a suonare in attesa di un segnale, ma lui niente. Senza fermare il gruppo, Giorgio esce dalla trance al microfono: “Ecco, lo sapevo, mi sono impappinato. Non so come venirne fuori, ragazzi scusate ma ci non capisco più un cazzo. Scusatemi, è colpa mia, è troppo difficile per me”. Applausi, grida, applausi. La band continua a suonare, Giorgio si unisce per qualche accordo, poi indietreggia verso il suo amplificatore ed esce di scena. Gli vado incontro, lo abbraccio e lo ritrascino sotto le luci, lui torna al centro del palco a testa bassa, mi abbraccia e saluta con la mano. Finisce così. L’amicizia inizia adesso.

Maggio di tre anni dopo. Giorgio ha suonato con noi altri pezzi qualche altra volta, e dopo più di trecento serate – dalle bettole alle discoteche trés chic – ci dicono che siamo diventati una vera band. Abbiamo appena fatto un album che pare abbia anche successo, e le radio ci suonano a manetta. Ci mandano a Roma per una serie di passaggi tv e per il primo concerto nella capitale. Siamo ospiti al Costanzo Show, suoniamo in diretta a inizio puntata e facciamo un casino della madonna. Appena usciti da Costanzo la dirigenza della CGD-Warner organizza una cena per noi ai Due Ladroni, a un passo dal famoso Gilda. Mangiamo in mezzo a tutti e di più, con Gigi Proietti, Marina Lante Della Rovere, Gianni Rivera, Paolo Panelli e chi più ne ha ne metta che vanno avanti e indietro. Mah.

Verso fine cena lo vediamo arrivare, ancora solo, sempre solo. Lo chiamo ad alta voce. Lui mi guarda, aguzza gli occhi, poi sorride con la testa all’indietro allargando le braccia come a stringerci tutti. “Sì, ma una telefonata prima no? La prossima volta che venite a Roma se non mi chiamate almeno una settimana prima mi incazzo sul serio, e poi scattano le ritorsioni…tanto per cominciare non sarò più il vostro chitarrista, poi vi mangio tutta la bottarga”, con una forchettata gigante di pasta appena servita che sparisce nella sua bocca mentre mi si siede a fianco. “Oh, voi non ci credete ma quanto me la sono menata per quella sera a quel cazzo di Vox Populi…quelle che abbiamo fatto dopo andavano bene, ma quella figura di merda, lì impappinato davanti al pubblico, uuuhh, quella non la dimenticherò mai…”. Ma dài, ancora? “Eh, ma guarda che per voi è tutto facile, a voi viene facile la musica ma a me no, io devo stare su un pezzo per ore davanti allo stereo con la chitarra…però che bello suonare, che bello essere in una band, come mi sarebbe piaciuto”. Ma Giorgio, cazzo, tu ci sei in una band, anzi: a proposito di Ufo, qui sei tu l’unico vero Piemontese. Vieni domani sera a fare qualche pezzo, è la prima volta per noi qui a Roma. “Ma sei matto, finisce che faccio un’altra figura da gioppino, magari un’altra volta…vi vengo a vedere, ma per favore niente chitarra domani, che poi per colpa mia ci tirano il gatto morto sul palco”.

Non ce l’hanno tirato, il gatto. Nella mia testa il ricordo di quello stupendo primo concerto a Roma naviga appaiato a quell’ultima cena con Giorgio Faletti. Ci saremmo sentiti e incrociati di fretta tante altre volte, col Signor Tenente ancora là da venire. Non sapevamo che il destino quella sera aveva tirato fuori l’ascia e aveva deciso di non farci più sedere allo stesso tavolo parlando per ore, ridendo e rimpallandoci di tutto. Perché se l’avessimo saputo non ci saremmo fatti sfuggire l’occasione di godercela tutta, quella notte, come nel finale del film ‘Sleepers’. Perché al di là delle banalità sulla vita e sulla morte, adesso quando ti penso mi viene da dire di seguito quello che avevi detto quella prima sera sul palco. Giorgio, scusami ma non ci capisco più un cazzo, non so come venirne fuori, è troppo difficile per me. Ecco, lo sapevo, mi sono impappinato.

Glezos

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