Il gioco del Wrestling

10 Aprile 2014 di Paolo Morati

The Ultimate Warrior

La scomparsa causa infarto di The Ultimate Warrior ha riacceso l’interesse per il Wrestling sui media nazionali, con articoli e gallerie fotografiche di quella che viene considerata l’epoca d’oro della federazione WWF (poi diventata WWE); perlomeno qui in Italia, a cavallo tra anni ’80 e ’90, con le telecronache di Dan Peterson e personaggi esagitati, esagerati ed eccentrici guidati da quello che è probabilmente il più noto wrestler di sempre: Hulk Hogan. Su Indiscreto abbiamo avuto modo già in passato di parlare dell’era catodica giapponese del Catch, diffusa a inizio anni ’80 sulle tv locali coi commenti di Tony Fusaro, Cristina Piras e il maestro di arti marziali Paolo Angeli. Era in cui cominciavano a far capolino anche i match americani, raccontati da Mario Mattioli, quando combatteva ancora una vera leggenda come Bruno Sammartino, prima delle definitiva esplosione del fenomeno su Italia 1.

Quando da preadolescenti guardavamo le gesta di Antonio Inoki, Tatsumi Fujinami e Tiger Mask eravamo pressoché convinti che si trattasse di incontri sostanzialmente veri, crescendo e ‘catapultati’ sui ring della WWF/WWE abbiamo però cominciato a intuire la realtà di uno spettacolo di intrattenimento. Intrattenimento ottimamente organizzato, con attori/atleti, copioni molto precisi (tra i più potenti e riusciti secondo noi quello di The Undertaker) e con elementi sempre più pirotecnici per appassionare un pubblico parte attiva della finzione scenica, e tragedie costruite sopra il ring. La morte di Ultimate Warrior, avvenuta dopo pochi giorni dal suo inserimento nella Hall of Fame della WWE, ha fatto inevitabilmente scattare anche la conta di chi non c’è più tra i big name del passato di una disciplina che in ogni caso impone duri allenamenti, esposizione a infortuni e logorio, oltre che al dilemma delle note scorciatoie per costruire il fisico.

Tra Macho Man Randy Savage, Curt Hennig, Rick Rude, Bad News Brown, Dick Murdock, Adrian Adonis, Big Bossman, Davey Boy Smith, André The Giant (una delle vere leggende) per arrivare appunto a Ultimate Warrior sono tanti gli interpreti di primo piano rimasti impressi nella nostra ormai lontana memoria e che per varie ragioni sono scomparsi (e ora riemersi nel ricordo) dopo aver girato per diverse federazioni. Detto questo, spesso il Wrestling viene sostanzialmente liquidato come una ‘americanata’ lontana dalla nostra cultura che non può essere considerata uno sport vero e proprio essendo l’esito della competizione in ogni caso già predefinito. Ma uno dei suoi segreti sta proprio nel coinvolgimento dello spettatore che quando si trova sugli spalti a tifare diventa parte attiva del copione di una sorta di gioco di ruolo che non lascia però nulla o quasi alla casualità dei dadi, e che comprende anche una serie di terminologie e complessità proprie.

Tutto sommato, mentre la WWE si appresta a sbarcare a Roma e Torino, la curiosità resta quella di capire fin dove gli sceneggiatori riescono a spingersi con le loro idee/storyline e gli atleti a indirizzarle e farle proprie. Anche perché poi, a meno di decisioni prese dall’alto per introdurre nuove trame, il vincitore lo si intuisce da sempre ancor prima che arrivi sul ring. Quello che poi avviene fuori, a volte, è tutta un’altra storia.

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