Ginecologo maschile

13 Luglio 2007 di Stefano Olivari

1. I favoriti dell’ultimo Giro d’Italia sarebbero stati almeno dieci, a rileggere la verdellea (già rosea). Caucchioli, Popovych e Rasmussen compresi. «L’Équipe» scrive di non più di due pretendenti alla maglia gialla di Parigi, di mezzo Alpi, Pirenei e 117,4 Km a cronometro. Vinokourov e Moreau si ritrovano quindi pilotati davanti a tutti, nello sprint intermedio dei pronostici (buono a far credere di scommettere sul sicuro). Eppure una puntata – va bene: del tutto gratuita – se la meriterebbero anche Evans e Kascheckin, atleti più completi di tanti altri, specialisti d’un solo esercizio o leoni da unica giornata di grazia, magari giusto di mercoledì. I diciassette italiani, al via del massimo evento ciclistico mondiale, presentano invece un minimo, mal comune denominatore: nessuno di loro parte per fare classifica. In compenso Ballan, Pozzato e Bennati hanno fiato per allargare il rispettivo respiro internazionale, nota di merito per giovani connazionali che si sprovincializzano, altro che i vecchi campioni di casa nostra, quelli col clan e quelli dell’orticello, quelli che all’estero si mangia male e si corre peggio. Una partecipazione così compromessa alla Grande Boucle autorizzerebbe a perdersi tutti, e con una certa piacevolezza, nel vizio italico dell’autodenigrazione. Rimedieremo, nel caso, elogiando la virtù dei pochi compatrioti che ce la faranno, ancora una volta, nonostante tutto, sarà l’arte d’arrangiarsi. Assodato che a Heathrow, lo scorso 7 luglio, nessuno ma proprio nessuno del manipolo di eroi di Pedale azzurro, è poi atterrato con le valigie di cartone.
2. I nostri cugini di campagna anti-doping, Oltralpe, non si incazzano più. E riescono a godere delle piccole cose (alcune di pessime gusto) prodotte dal movimento più statico e più vecchio del Vecchio Continente, nel demi-monde del ciclismo il solo ambiente che conti sul serio, nonostante americani, colombiani e cinesi. Nella confusione generale, Moreau e Gadret passano allora per i gemelli del gol, nello «squadrone che tremare il mondo fa». Peccato che l’AG2R Prevoyance non abbia esattamente le stesse punte di peso del Torino ’76. E poi Pulici e Graziani mica giocavano nel Bologna ’36-’41. Di Remy Di Gregorio si parla negli stessi termini strausati e abusati per i fratelli Chavanel, manco fossero gli Schleck. Bonne chance! Nella crono che ha appena assegnato il titolo nazionale donne, la quarantottenne Jeannie Longo-Ciprelli ha mancato il tricolore per neanche quattro secondi. Detto che Madame resterà per sempre la nostra anti-Marianne preferita: mais c’est pas possible, che alla sua ruota non sia jamais cresciuta una rouleuse ch’è una. Malgré tout i francesi si rispettano. Ché le palle ancora ci girano: difatti, viene il dubbio che cotanti corridori non siano affatto del tutto scarsi. Semmai puliti, accidenti a loro. D’altronde, ognuno alimenta i sospetti che si merita, di qua e di là dal Colle dell’Agnello.
3. Lugano 1996. Il Mondiale di Museeuw e Gianetti. Quello di Bartoli e Tafi che si corrono contro. L’ultimo di Martini, Bugno e Chiappucci da protagonisti. Il primo in nazionale Pro per Fincato Marco da Padova: do you remember, il biondo Roslotto-ZG? Come, che fine ha fatto? Beh, non passerà certo alla storia come l’unica meteora del ciclismo italiano post-moderno. Il giorno prima della gara più attesa, ancora su e giù da Comano e Crespera, nel sabato degli Under 23: memorabile poker azzurro calato davanti al Casinò. Figueras Sgambelluri Sironi Bettini. Con Commesso viaggiatore comunque protagonista, avanti in esplorazione per almeno metà corsa. Undici anni dopo, appena il quarto nome a basso del podio ci dice qualcosa. Bissasse poi Salisburgo a Stoccarda, il prossimo 30 settembre, resterebbe sulla bocca di tutti altro che altri undici anni. Nel frattempo. Sironi Gianluca da Lomaniga di Missaglia (LC), in riva al Ceresio iridato della crono, se n’è andato a passeggio per nove-stagioni-nove (sette nella squadra di paese), mai più ritrovando quell’irripetibile colpo di pedale. Sgambelluri Roberto da Melito Porto Salvo (RC), talentuoso emigrato al nord, se ne è fatta una ragione anche prima di Sironi: la tappa vinta al Giro ’97 era solo un fuoco di paglia. Un conto è incantare tra i dilettanti, ben altro discorso è cantargliele ai senatori del gruppo. Meglio cambiare mestiere, preso atto del fallimento nella disciplina. Figueras Giuliano da Napoli smette quest’anno, alla sua decima stagione, dopo quattordici successi all’attivo. Non ne ha più, ma nel senso che non ha più voglia di fare il corridore. Ammette che un po’ depresso lo è, e per vari motivi non tutti riconducibili alla bicicletta. Ci tiene però a far sapere che non si trova nelle stesse condizioni di Vandenbroucke. E ci mancherebbe altro. Peccato davvero, peccato comunque: Lugano, addio. À la Ivan Cattaneo (e à la Antonio Fogazzaro).
4. Distratti dalle nuove su Robert Millar, ma soprattutto dalle nuovissime su Philippa York, quasi non ci avvedevamo dello svolgimento del Giro Donne, anzi «ciclistico femminile d’Italia» (gli organizzatori ci tengono). Organizzatori particolarmente benemeriti: visto del ciclismo a misura d’uomo, a dispetto del genere. Come non se ne vedeva da tempo. Visto un campo partenti il migliore possibile, per una corsa presa per i capelli e rimessa in pista con dignità. Viste fior di campionesse, vere autentiche fuoriclasse: Edita Pucinskaite, Nicole Brandli, Marianne Vos, Judith Arndt su tutte. Viste benissimo anche le nostre Bronzini e Luperini, competitive e molto battagliere. E visto un discreto pubblico sulle strade, tutto sommato: se è per quello, non è che all’ultimo Tour de Suisse ci fossero folle oceaniche, a strepitare per Karpets e Kirchen. Per tacere d’alcune corse del calendario maschile nazionale, bellamente e comprensibilmente ignorate: come se ce ne fossero il giusto numero totale, ben distribuito nel corso dell’anno, con al via comunque qualche nome di richiamo, impegnato su di un percorso almeno caratteristico, se non per forza di cose spettacolare. Tornando alle Gilmore e alle Moreno Allue. Viste tattiche di gara aperte e coraggiose, tra scatti e controscatti che nessun barone del plotone riprendeva a male parole. Visti ai traguardi di tappa pensionati indaffarati e contenti, nonostante la minima. Il massimo, quando tra loro qualcuno s’è messo pure a zufolare, l’occhio vispo e furbetto: «Le gambe snelle/tornite e belle» a noi piacciono di più. Verrebbe da gridare al miracolo. Visto del ciclismo senza l’ombra di troppi sospetti. Sarà un caso, che Eufemiano Fuentes è un ginecologo maschile?

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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