Calcio
Cose del terzo mondo
Stefano Olivari 28/05/2011
di Stefano Olivari
Due o tre cose su Blatter, Hamsik, Maradona, Rai, Calderon, Ancelotti, Bosnia, Eto’o, Montolivo, Roma, Nazionale, serie A, Ferguson, Mazzarri, Ivan e Nicchi.
1. All’interno della Fifa esiste un comitato etico, ma non l’etica. Il comitato che sta indagando su Josef Blatter, a pochi giorni dalla sfida elettorale con il qatariota Bin Hammam, perché il presidente della Fifa non avrebbe denunciato (a chi? La Fifa sarebbe lui) il tentativo di corruzione di Bin Hammam nei confronti del ras del Centroamerica Jack Warner, da sempre uomo chiave del blatterismo grazie alle sue improbabili isolette che contano come Germania o Italia. La situazione è oltre l’assurdo: il presunto corruttore, cioé Bin Hammam, denuncia il presunto danneggiato (Blatter) perché non avrebbe denunciato il suo stesso tentativo di corruzione. Se questa è l’alternativa, lunga vita a Blatter in attesa che maturino i tempi per Platini. L’equazione ‘Terzo mondo uguale corruzione obbligata e necessaria’ non sarà politicamente corretta, ma l’evidenza empirica è questa. Blatter comincia ad avere paura, non del comitato etico ma di non essere rieletto.
2. Non c’è giorno che intorno a Marek Hamsik non nascano voci incontrollate e articoli così dettagliati da sembrare addirittura credibili. Mentre stiamo scrivendo queste righe ci sono però solo una semicertezza e una certezza, per quanto riguarda il centrocampista slovacco. La semicertezza è che stia per entrare in orbita Raiola (il suo procuratore ufficiale è Venglos), il che significa avere come destinazioni privilegiate la Juventus tramite Nedved o più verosimilmente il Milan. La certezza è che, al di là dei balletti verbali ad uso dei cronisti fra De Laurentiis e Galliani, il futuro di Hamsik determinerà quello del Napoli ben oltre l’aspetto tecnico. Cederlo, anche a cifre clamorose e anche all’estero, significherebbe ufficializzare una subalternità e l’esistenza di una serie A a due squadre per le prossime 10 stagioni. Per questo non sarà solo questione di soldi, al di là del ‘Non prenderemo Hamsik’ urlato da Berlusconi al comizio di Lettieri.
3. Poche reazioni alla denuncia di Maradona riguardante il caffè al doping fatto bere a lui e ai suoi compagni di nazionale prima dello spareggio con l’Australia per la qualificazione al Mondiale 1994, quello da cui Diego fu cacciato proprio a causa di una sostanza proibita assunta per accelerare il suo dimagrimento. Eppure si parla di un Mondiale e la testimonianza sarebbe quella del giocatore più forte di tutti i tempi…Sarà perchè nel calcio il doping di squadra, non solo in italia, è sempre stato sepolto dall’omertà (anche giornalistica) e da controlli non fatti (chi si ricorda dell’Acqua Acetosa?) o quasi sempre annunciati. Sono più credibili Contador e Armstrong che in carriera hanno subito decine di controlli a sorpresa (che non hanno tolto i sospetti, ma almeno sono stati fatti) che una qualsiasi delle nostre squadre ‘dal grande ritmo’. Che dipende, come è noto, dalle ‘motivazioni’.
4. I 124 milioni di euro per quattro anni di partite casalinghe della Nazionale, con la strepitosa novità delle partitelle di allenamento e delle sedute tecnico-tattiche, senza contare i soldi da investire per quelle in trasferta e per le fasi finali di Europei e Mondiali sono soldi buttati via dalla Rai, a voler essere generosi. Chi mai dei suoi concorrenti avrebbe potuto fare un’offerta anche solo della metà per il piacere di trasmettere l’Italia-Estonia della situazione? In generale il rapporto fra Rai e Figc è strutturalmente sbagliato, con il servizio pubblico che viene confuso per obbligo di tifare acriticamente e nascondere le notizie. Purtroppo, purtroppo per lo spettacolo, Prandelli è troppo educato e non regala siparietti come quelli di Lippi con il Paris o il Varriale di turno. Insomma, mancano sia lo spettacolo sportivo che quello trash, ma intanto 30 milioni sicuri nelle casse della Figc sono entrati. E poi non c’è nemmeno quella seccatura di dover pagare i giocatori…
5. Un nuovo iscritto nel partito ‘Quelli che danno lezioni di vita a Mourinho‘. E’ l’ex presidente del Real Madrid Ramon Calderon, che dall’alto delle elezioni taroccate che lo portarono al potere nel luglio 2006 (e alle dimissioni nel 2009, dopo lo scoperchiamento dello scandalo) ha paragonato l’allenatore portoghese ad Adolf Hitler, volendo dire che non sempre il consenso popolare iniziale porta a decisioni sensate. Il paragone poteva venirgli meglio. Certo è che si tratta della prima volta in carriera in cui Mourinho influisce su una scelta societaria, anche se in realtà Valdano era poco più di un soprammobile e Zidane (la cui carica sarà comunque diversa) rischia di fare la stessa fine.
6. Per gli allenatori godere di buona stampa è fondamentale, ancora più che per i calciatori. Solo così si capisce perché gli stessi risultati, con squadre di potenzialità finanziarie e tecniche simili, vengano valutati in maniera diversa. Il secondo posto di Ancelotti in Premier League con il Chelsea è stato quasi unanimemente in Italia giudicato un buon risultato, nonostante il Manchester United abbia rispetto al club di Abramovich un minor numero di giocatori definibili campioni: ma si sa, Ancelotti è per definizione ‘un signore’. Il secondo posto di Mourinho nella Liga, con Copa del Rey alzata e semifinali di Champions (il Chelsea di Ancelotti ha salutato la compagnia ai quarti, l’anno scorso l’aveva fatto agli ottavi contro l’Inter di Mourinho) è invece dai commentatori di casa nostra considerato uno schifo. Non si capisce allora come mai Ancelotti sia stato esonerato e Mourinho invece no, con il corollario del licenziamento del suo nemico all’interno del Real: il finto poeta Valdano, un altro ‘signore’ a prescindere.
7. Il mondo del calcio ha molti difetti, ma incredibilmente riesce ad essere sempre più avanti della società che lo circonda. Infatti su pressione di Fifa e Uefa, che dal primo aprile l’avevano sospesa dalle competizioni internazionali, la federcalcio bosniaca si è dotata di un nuovo statuto che prevede l’elezione di un unico presidente e non più tre presidenti ognuno dei quali espressione di un diverso gruppo etnico: croati, serbi e musulmani (ma l’Islam è un gruppo etnico?), così come purtroppo avviene nella politica ‘vera’ della Bosnia-Erzegovina. Un piccolo segno di civiltà, per cui vanno dati i giusti meriti ai vituperati Blatter e Platini. Che potranno essere antipatici (non a noi, in ogni caso), affamati di potere (mai visto nessuno affamato di sudditanza, comunque) ma almeno non hanno come stella polare solo quella di sfilare qualche soldo televisivo al Chievo grazie a sondaggisti di fiducia.
8. Scrivere di ultras è antipatico, perché l’argomento interessa meno del calciomercato ma anche perché di solito c’è la fondata possibilità di trovarsi qualcuno sotto casa. Però a volte se ne scrive veramente a sproposito, assegnando d’ufficio a loro tutta l’ignoranza che è ben presente anche nei tifosi cosiddetti ‘normali’. L’episodio notturno che ha visto protagonista Samuel Eto’o, rivelato dalla Gazzetta dello Sport (in sintesi: un gruppo di tifosi del Milan ha intonato il solito coro su Eto’o che vende le rose in metropolitana, come dire ‘Tu negro senza il calcio potresti fare solo quello’), merita la giusta prospettiva. Singoli cretini si trovano in ogni tifoseria e in ogni sport. Più difficile è invece parlare di mezzo stadio che intona lo stesso coro, come è accaduto durante l’ultimo derby milanese: non si tratta di ultras, ma del mitico tifoso-consumatore inseguito dagli editori e dai club. Per
ò non è vero che il cliente ha sempre ragione. A volte il cliente è da buttare.
9. E’ ormai passato il concetto che se una società scarica un giocatore va tutto bene, mentre se accade il contrario subito in pasto al popolo bue viene dato il traditore. E parliamo di contratti rispettati e da rispettare, non di furbate. L’ultimo traditore della lista rischia di essere Riccardo Montolivo: senza entrare nel dettaglio delle vicende di mercato (è evidente che ha un’offerta in mano o almeno pensa di averla), non ha intenzione di rinnovare il contratto che lo lega alla Fiorentina fino al 2012. Suo diritto andarsene fra un anno alla Juventus o dove vuole, così come diritto dei Della Valle sarebbe stato non rinnovargli il contratto in caso di scarso rendimento. Invece adesso ci sono solo due sbocchi possibili: cessione anticipata, in modo che la Fiorentina incassi qualcosa (lo scenario più probabile) o un anno di semi-mobbing con lo spettro della tribuna buttato lì e accettato culturalmente da chi ancora pensa che l’AIC sia il sindacato dei milionari.
10. L’estate è la stagione del ‘manca solo la firma’, la frase fatta dietro a cui si può nascondere chi vuole scrivere qualsiasi cosa gli passi per la testa. Il più clamoroso esempio del genere non riguarda però un calciatore, l’inevitabile Aguero che sognerebbe la Juventus, ma una squadra: la Roma. Leggendo di colpi mirabolanti e di toto-allenatori, bisognerebbe anche pensare che allo stato attuale non è ancora stato perfezionato il passaggio di proprietà fra la famiglia Sensi e la cordata americana, con Unicredit che sta un po’ recitando tutte le parti in commedia: creditore del venditore, finanziatore dell’acquirente, consigliere (in cialtronese si dice advisor) di entrambi e anche di fatto proprietario di minoranza quando lo sbandierato accordo entrerà a regime. Finora siamo all’Antitrust che ha dato il via libera all’operazione, che dovrà far confluire nella nuova società le azioni della vecchia Roma, quelli della società che gestisce Trigoria e quelli della società che gestisce il marchio. Alla fine di tutto questo DiBenedetto e soci avranno il 60% e Unicredit il 40 di questa Neep Roma Holding. Ma il famoso finanziamento (perché in parte gli americani useranno soldi di Unicredit) non è ancora stato erogato e quindi allo stato attuale non è ben chiaro chi delinei le strategie della nuova Roma. Continuiamo a ritenere incredibile che nella Capitale non sia saltato fuori un gruppo di imprenditori capaci di rilevare la Roma, che alla fine è costata meno di quanto costerebbe l’acquisto di un campione del Real Madrid. Non aveva tutti i torti Franco Sensi nel definire ‘cravattari’ tutti quei fenomeni da tribuna d’onore, quindi a scrocco, che aspettavano il suo fallimento per farsi regalare la società giallorossa.
11. La Fiat è sempre più lontana dall’Italia dimenticando aiuti di Stato generosamente elargiti (il lavoratore autonomo invece può e deve morire in silenzio, secondo l’ideologia da sempre dominante in questo paese), sarà forse per questo che vuole rendere ancora più stretto il suo rapporto con la Nazionale. Fra poco passerà da fornitore ufficiale a top sponsor. Traduzione: verserà più soldi, per la gioia dell’apparato federale che solo dagli accordi commerciali ricava circa 15 milioni all’anno: aggiungendo gli ingaggi per amichevoli spesso insulse, i soldi del già citato contratto Rai e quelli Uefa o Fifa delle grandi manifestazioni, si arriva facilmente a un fatturato da ottima squadra di serie A. Con una piccola differenza: qui non esiste il fastidioso obbligo di pagare ingaggi. Quando si parla di sacralità delle nazionali bisogna tenere presente anche questi dati. Se poi arriva quello che ti dice che bisogna ragionare come un club, coinvolgendo i Camoranesi, i Thiago Motta e gli Amauri, si potrebbe rispondergli che i costi, i rischi e le logiche sono molto diversi. Comunque se Blatter continua su questa china, fra 10 anni le nazionali non esisteranno più e in Qatar a gennaio ci andrànno Costarica e Togo.
12. A proposito di Figc, il report 2011 del suo centro studi ha evidenziato che nella stagione 2009-10 le 132 (!!!) squadre professionistiche italiane hanno perso in totale 345 milioni e 536 mila euro, con solo 15 club che hanno riportato un utile nella stagione in cui per la prima volta la serie A ha sfondato il tetto dei 2 miliardi di valore di produzione. Nella montagna di cifre riteniamo interessanti queste: l’investimento sui settori giovanili dei 20 club di A è in totale di 69 milioni, i diritti tv rappresentano il 65%) dei ricavi in Serie A (percentuale praticamente doppia rispetto a Premier League, Liga e Bundesliga. Per finire, in tutti i sensi: solo 61% il tasso di riempimento degli stadi italiani, contro il 92% di quelli inglesi, l’88% per i tedeschi, il 73% spagnolo e il 69% della Francia. Tutte cose che già più o meno si sapevano, sintetizzabili in una considerazione: praticamente solo la televisione sta tenendo in vita il sistema. Ci vorranno anni per cambiare una cultura che trova più facile farsi dare contratti ‘politici’ che convincere il tifoso-consumatore ad andare allo stadio.
13. I premi dati dai colleghi hanno un valore speciale, per questo prima di giocarsi la sua terza finale di Champions League in quattro stagioni Alex Ferguson ha apprezzato il premio di manager dell’anno consegnatogli da Howard Wilkinson. Per l’elenco delle vittorie sulla panchina del Manchester United (anche se a noi è rimasto nel cuore l’Aberdeen che nel 1983 vinse la Coppa della Coppe) basta andare su Wikipedia, più importante è secondo noi notare che in 25 anni nello stesso posto Ferguson ha avuto anche diverse stagioni negative e non sempre ha speso bene i budget messigli a disposizione. Però la continuità data dalla guida di una persona intelligente vale di più, per una società, della stagione di gloria di un fenomeno. Stupisce quindi che tutti questi dirigenti con il master in qualcosa non capiscano che un progetto vale spesso più dei nomi. Mourinho non ha conoscenze tattiche superiori ad Allegri, che a sua volta non conosce il calcio meglio di Lerda. Se poi sei bravo e credono anche in te, come nel caso di Ferguson, è davvero il massimo.
14. La permanenza di Mazzarri a Napoli viene descritta come una grande sorpresa, perché fino a qualche settimana fa Marotta era convinto di poterlo portare alla Juventus a dispetto di un contratto ancora in essere con la società di De Laurentiis. Eppure ha una sua logica stringente, al di là dei rapporti umani e dei mitici ‘adeguamenti’. Meglio giocare la Champions League con una squadra che ha almeno tre campioni e promette di comprane un altro o vedere l’Europa in tivù con una squadra che di campioni nel fiore degli anni non ne ha alcuno? In questo momento per un allenatore, ma soprattutto per un giocatore, Napoli è una vetrina migliore che Torino. Hiddink, Wenger, Guardiola: secondo gli esperti di mercato tutti gli allenatori del mondo sognavano la Juventus, ma chissà come mai è arrivato Conte che fra quelli capaci era l’ultima scelta.
15. Non sia mai che in Italia una pena venga scontata. Il Tribunale di Genova ha disposto la scarcerazione di Ivan Bogdanov, l’ultrà serbo protagonista degli scontri dello scorso 12 ottobre allo stadio di Marassi in occasione della partita tra Italia e Serbia, e il suo accompagnamento coatto in patria dove in teoria sconterà il resto della pena. Ivan saluta tutti, magari con le tre dita, la condanna a 3 anni e 3 mesi di fatto è stata di 7 mesi per quanto riguarda l’Italia. Un bellissimo messaggio per i dementi nostrani, che prudentemente i giornali non chiamano ‘Bestia’ come è stato per Ivan, quelli che si presentano al campo di allenamento per minacciare allenatori o indurre i giocatori a ridursi lo stipendio. Non diamo tutte le colpe
al calcio, visto che siamo nella più pura logica dei film ‘poliziotteschi’ degli anni Settanta: fra garantismo e perdonismo facile c’è una notevole differenza. Ai dibattiti con panno verde sul tavolo e bottiglia di minerale dicono che è un problema di cultura, che si risolverà nel lungo periodo. Ma, come ammoniva Keynes, nel lungo periodo saremo tutti morti.
16. Al netto dei dossier di parte e dei lamenti preventivi, quella degli arbitri italiani è stata una buona stagione. Non tanto per la gestione degli episodi, perchè sanza ausilio della tecnologia l’errore anche macroscopico è sempre dietro l’angolo, quanto per la gestione tecnica e umana delle partite. Non ci sono più i mammasantissima, nemmeno gli internazionali si comportano come i Collina o i De Santis (tanto per citare i due poli estremi del sistema, dal punto di vista etico comunque su pianeti diversi) di una volta con i giocatori: poca teatralità, poca arroganza, minor numero di falli di confusione fischiati, minore ricorso alle ammonizioni chirurgiche (quelle inflitte o evitate, a seconda della squadra, al centrale difensivo o al centrocampista incontrista nei primi minuti della partita: la vera architrave del moggismo era questa, alotro che le intercettazioni) o alle punizioni sulla tre quarti assegnate random, rispetto per chi è in campo evitando atteggiamenti da ducetti. Con buona pace dei nostalgici di Moggi, si sta meglio adesso anche se il numero di squadre che può puntare allo scudetto non è aumentato (anzi, è vero il contrario: ma i motivi sono finanziari). L’osservazione sulle troppe espulsioni, fatta dal presidente dell’Aia Nicchi, è fondata solo parzialmente: 109 rossi in A contro i 62 della Premier League e i 59 della Bundesliga, è vero, ma basta seguire le partite inglesi e tedesche per rendersi conto del perché: in Germania si gioca spesso sottoritmo, mentre in Inghilterra simulazioni e tensione sono a un livello decisamente inferiore che da noi. Questa la realtà sotto gli occhi di tutti, con errori ben visibili ma un sistema meno oppressivo e opprimente di quello che ha reso poco credibili non solo quelle due stagioni per cui ci si sta scannando ma anche le dieci precedenti. Perché poi rispetto agli anni bui di Calciopoli può non essere cambiato il numero di errori, difficile da quantificare statisticamente (se non per gioco, come nella indimenticabile ‘Classifica alla moviola’ di Maurizio Mosca all’Appello del martedì), ma è di sicuro cambiata la loro percezione. Oggi di moviole parlano tifosi e giornalisti-tifosi, come è giusto, più qualche arbitrologo che vive nel suo mondo, qualche anno fa invece le rubriche sui giornali e soprattutto quelle televisive erano occupate militarmente da chi doveva dimostrare contro ogni evidenza che un fuorigioco era di cinque metri invece che di pochi centimetri o che quel contatto in area sembrava sì inesistente ma che forse, guardando bene, con un’altra inquadratura…Non che Nicchi e Braschi non facessero parte di quel mondo, oltretutto con ruoli di primo piano, così come gran parte dei protagonisti del calcio di oggi, ma è semplicemente cambiato il contesto che li circonda e che li giudica. E questo ai tanti uomini di Moggi (giornalisti raccomandati, direttori sportivi maneggioni, allenatori al decimo esonero, web-avvocati della porta accanto) proprio non va giù. Ragazzi, fatevene una ragione: è finita. La Juventus tornerà a vincere anche senza di voi, che sarete ricordati per quello che siete.
stefano@indiscreto.it
(estratti di articoli già pubblicati sul Guerin Sportivo)