Cosa faremmo agli youtuber

15 Giugno 2023 di Stefano Olivari

Tutti abbiamo letto della folle storia del bambino romano di 5 anni, Manuel Proietti, rimasto ucciso in un incidente mentre era insieme a sua madre in auto, una Smart che è stata colpita dalla Lamborghini Urus che aveva a bordo alcuni youtuber del gruppo The Borderline che stavano girando un video scherzoso, probabilmente una delle loro challenge demenziali che, a quanto si vede sul loro canale da 601.000 follower, non riguardano soltanto le auto. Dinamica e responsabilità sono ancora da accertare al 100%, non ci improvvisiamo vigili urbani, poliziotti o magistrati, ma la situazione di fondo è evidente: da un lato persone che stavano facendo la loro vita, dall’altro idioti con un senso di impunità purtroppo fondatissimo.

Il punto di una storia non inedita, che come vittima ha sempre la parte più leggera e meno difesa (il pedone, il ciclista, il passeggero dell’auto più piccola), e di tutte le storie simili, non è soltanto la tragedia di una famiglia, ma il fatto che chi ha ammazzato Manuel, o meglio, chi sapeva che potenzialmente avrebbe potuto ammazzare un Manuel, rischia poco dal punto di vista civile e pochissimo da quello penale. Non stiamo parlando di disadattati, gente con zero da perdere, per i quali la funzione deterrente della pena sarebbe limitata, ma di persone inserite nella società e nel circuito economico, non vogliamo dire produttivo, con la loro fuffa web.

Veniamo al punto, per una volta fuori dal derby destra-sinistra visto che la scelta fra un video su YouTube e una vita dovrebbe essere scontata. Pensiamo che una delle fratture più evidenti fra popolo ed élite riguardi proprio la giustizia, perché al di là dei litigi sulla sua organizzazione sinistra e destra marciano unite sulla strada di una sostanziale depenalizzazione dei reati, al di là di qualche tweet per intercettare una tendenza. Non occorre essere sondaggisti per intuire invece che la base sia della sinistra sia della destra è profondamente giustizialista, termine che già di per sé ha una connotazione negativa.

Il profilo dei colpevoli da difendere cambia leggermente, ma il principio di base è unico ed i giornalisti, che pensano di far parte delle élite, trasmettono questo pensiero unico bastonando chi chiede pene più severe per tutti i reati. Giustizialisti, forcaioli, arretrati… insomma un aggettivo si trova sempre. Unica situazione che permette sui media di parlare in negativo dell’Islam, fra l’altro. Come sempre noi citiamo quella direttrice di un carcere texano che all’inviato del Tg3, preoccupato per la condanna a morte di un serial killer, disse: “Farà vivere meglio le famiglie delle vittime”.

La morte di Berlusconi cambierà qualcosa? È chiaro che le sue vicende giudiziarie abbiano contribuito a rafforzare il partito trasversale, ben al di là di Forza Italia, centrato su un garantismo che difendendo le porcate dei colletti bianchi depenalizza di fatto anche quelle da strada ostacolando in ogni modo indagini, acquisizioni di prove e svolgimento dei processi. Non ci sembra che nessuno di quelli che contano stia chiedendo pene più severe, parlando in generale: meglio una supercazzola sulla ‘riforma della giustizia’ oppure, se viene uccisa una donna, prendersela con patriarcato e la mascolinità tossica invece di mandare sulla sedia elettrica l’assassino (spesso recidivo, sempre annunciato). Stiamo andando verso un mondo in cui ci si farà giustizia da soli? Qualcuno magari ci proverà, ma nella media la gente è già abbastanza addomesticata.

stefano@indiscreto.net

Share this article