Basta dire social

27 Marzo 2012 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Google è ormai di fatto il motore unico di ricerca del mondo, con buona pace di Yahoo, Baidu, Bing (il più amato dai professionisti del product placement, che ai tempi gloriosi del J&B in ogni film italiano si chiamava marchetta) e di altri minori, con quasi l’85% delle ricerche effettuate in tutto il pianeta. Però viene percepito come ‘vecchio’, per motivi che francamente ci sfuggono, dai cosiddetti investitori e dagli stessi dirigenti di Google. Che non a caso hanno puntato moltissimo su Google+, il social network lanciato 9 mesi fa e adesso arrivato a 100 milioni di utenti dopo una serie di ritocchi del prodotto rispetto alla versione iniziale.
Una bella cifra, anche al netto del nostro scetticismo nei confronti di questo tipo di annunci per cui sono impossibili da verificare sia i numeri reali che soprattutto l’utilizzo e la ‘centralità’ nelle nostre vite. Perché se è vero che effettuiamo quasi ogni ricerca attraverso Google, è altrettanto vero che a Google+ ci siamo iscritti quasi per inerzia: siamo stati inseriti nelle cerchie di alcuni nostri amici o conoscenti, ma lì ci siamo fermati. Non interagiamo, come del resto non lo facciamo con il nostro account ‘in sonno’ (come certi massoni) di Facebook e chissà quanti altri generatori di password e di perdite di tempo, da LinkedIn in giù. Detto questo, è vero che Google+ è ormai molto utilizzato da aziende e personaggi pubblici con particolare riferimento alle interazioni video. Rispetto a Facebook il problema non è solo di numeri (800 milioni contro 100, volendo credere a tutti), ma di immagine: il ‘tutti sono su Facebook e quel tale di sicuro lo troverò’ ancora non si applica a Google+ e forse mai si applicherà. Concludendo? L’azienda di Mountain View non segue uno dei primi comandamenti dei tanti mental coach che si aggirano per aziende e club sportivi, che suona più o meno così: migliora i tuoi punti di forza, abbandona le aree di debolezza (con parole nostre: chi rimane a metà del guado è morto). L’immediatezza di Google come motore di ricerca, attorno a cui costruire un sistema coerente di prodotti ‘necessari’ (da Gmail all’acquisito YouTube, dai traduttori alle mappe, eccetera), mal si concilia con la connotazione cazzeggiatrice di un social network ben sintetizzata dalla tremenda timeline di Facebook in cui si vede uno sconosciuto (ma ufficialmente nostro ‘amico’) stringere amicizia con una sconosciuta o commentare le sue foto del mare. Quando usiamo Google abbiamo insomma il piacere di interagire con una macchina, non con nostri simili, anche se è difficile spiegarlo a chi ha interiorizzato il mantra ‘il futuro è social’ e te lo spara fuori ogni due frasi.


Twitter @StefanoOlivari

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