All’improvviso uno sconosciuto

15 Gennaio 2008 di Stefano Olivari

1. Le esagerazioni giornalistiche fanno parte del normale marketing cialtrone, essendo il tifoso di quelle solite cinque squadre l’architrave del sistema, ma questo non toglie che l’esordio milanista di Pato (foto) abbia portato una ventata di freschezza in una serie A già scritta: i nuovi aggettivi per l’Inter, i complimenti alla Roma, il carattere della Juve ed il Milan che risucchia Fiorentina e Udinese per il quarto posto non sembrano argomenti emozionanti come quello che si vede in campo. Pato ha impressionato per le giocate in campo (ma per Del Piero o, per non andare lontano, Gilardino, la pagella sarebbe stata ”Si muove bene facendosi trovare spesso smarcato in posizione di tiro: impreciso sottoporta, il gol del cinque a due è da incorniciare: voto 6,5”) e divertito per la sopresa che ha creato nella maggioranza di presunti addetti ai lavori. Ridottisi a pomparlo utilizzando golletti in allenamento (li segna anche Emerson, premio Bronzetti 2007) piuttosto che il suo straordinario valore già dimostrato nel calcio vero: dal debutto super con l’Internacional di Porto Alegre al Mondiale per club vinto da coprotagonista un anno prima…del Milan, segnando un gol (sia pure all’Al Ahly: segnatura comunque importante, che lo ha fatto diventare il più giovane marcatore nella fase finale di una competizione Fifa, oscurando il Pelé 1958 contro il Galles di John Charles) e giocando la finale, non certo clandestina, con il Barcellona. Per tacere del Sudamericano Under 20 stradominato con il suo Brasile (il capocannoniere fu però l’uruguagio-palermitano Cavani) e di giocate televiste in tutto il mondo, supportate da un fisico che alla sua età pochi campioni hanno avuto già così strutturato: insomma, ragazzino solo per l’anagrafe e perfettamente inserito nella tendenza dei grandi club europei. In sintesi: il fenomeno di fama universale viene messo sul mercato, più o meno a caro prezzo (non è quasi mai questo il problema, a un certo livello di immagine l’ingaggio si paga da solo), solo quando è in parabola discendente o umanamente diventa ingestibile, quindi diventa logico strapagare e difendere anche mediaticamente i Pato piuttosto che i Gourcuff. Come sembrano lontani i discorsi di Berlusconi sul Milan dei giovani lombardi: il più giovane, fra quelli cresciuti nel vivaio, ha 39 anni…

2. La nomina di Fabio Capello a c.t. della nazionale inglese ha sollevato un’ondata di patriottismo tecnico degno di miglior causa, considerando che il campione di Spagna in carica ha frequentato Coverciano giusto per il patentino (come quasi tutti, del resto) e che i risultati degli allenatori italiani all’estero non sembrano scintillanti: Trapattoni non può esimersi dal vincere in Austria con il Salisburgo, per tutti gli altri (De Canio al QPR, Cabrini con la Siria, De Biasi al Levante, eccetera) situazioni oscure o fin troppo chiare. E’ però vero che in nessuna delle grandi leghe europee tutti (tutti!) gli occupanti delle panchine siano allenatori del posto, come invece avviene da noi: in Inghilterra, ne abbiamo parlato già settimana scorsa, tutte le squadre di Champions e addirittura le due aspiranti (Tottenham e Manchester City) sono guidate da stranieri, Real e Barcellona sono allenati da Schuster e Rijkaard, l’Atletico da Aguirre (messicano), il Valencia da Ronald Koeman, il Villarreal da Pellegrini (cileno), il Levante appunto da De Biasi; in Bundesliga vediamo l’Amburgo di Huub Stevens (olandese, ma in Germania da una vita), l’Hertha di Favre, il Bochum di Koller, l’Energie Cottbus di Prasnikar. Qualche apertura all’estero anche nella tristissima Ligue1, con Gerets al Lione e Ricardo Gomes al Monaco. Insomma, avere in serie A solo allenatori italiani non significa che siamo i migliori. Sono italiani anche Sonetti, Ficcadenti e tutti gli altri esonerati, per non parlare degli scarsi che si riciclano solo perché attaccati a certi carri (di Gea non ce n’era solo una) o, nella migliore delle ipotesi, perché telefonano agli uomini-mercato dei quotidiani sportivi implorandoli di ‘far girare il nome’. Più banalmente da noi è invalsa la convinzione che una squadra costruita bene possa essere guidata da qualunque tecnico preparato (ce ne sono tanti, anche in serie C) ed una costruita male non possa essere portata in alto nemmeno se a guidarla fosse un misto di Happel e Michels. In altre realtà esiste forse ancora il mito dell’allenatore-mago che con il suo carisma e la sua scienza (…) riesce a risolvere problemi strutturali. Di qui i supersoldi regalati a Juande Ramos, ma anche tutto sommato a Capello ed al suo staff. Possiamo dirlo, per una volta? Meglio l’atteggiamento dell’Italia. Che per prima ha creato la figura dell’allenatore riconoscibile, alla Herrera, ma anche che per prima l’ha smitizzata.

3. Siamo abituati a considerare Sky un di più, forse perché purtroppo per noi 70 euro al mese significano qualcosa, ma prima o poi bisognerà ammettere la realtà: quando c’è di mezzo il calcio l’audience delle tivù satellitari va regolarmente a livelli da canale in chiaro, accelerando quindi il processo di scomparsa definitiva del calcio in chiaro (alla fine si parla solo degli highlights di serie A e di frattaglie di Champions e di coppette). Domenica pomeriggio dalle 15 alle 18, senza Juventus e Milan, lo share del satellite è stato di quasi il 14 per cento: roba da terzo canale nazionale, dietro solo a Rai Uno e Canale Cinque. Le sole partite di calcio italiano trasmesse in questa hanno totalizzato uno share del 7,5, sempre senza Juventus e Milan…Evitando troppi numeri, ricordiamo che la partita più vista è stata Siena-Inter: 330mila spettatori medi, con Atalanta-Roma a 126mila e rotti. Al di là dei bollettini della vittoria dell’azienda di Murdoch, della probabile sottostima (basti pensare a quanto siano pieni i bar a quell’ora della domenica) e delle ovvie considerazioni sul target pubblicitariamente più alto, significa che il calcio televisivo criptato si sta avviando a raggiungere gli stessi livelli quantitativi di quello in chiaro di ‘una volta’. Il non trascurabile problema è che questo sta avvenendo con un imprevisto: la fuga dagli stadi, ovvia in una B senza Juve, Genoa e Napoli ma meno ovvia in A (curiosamente la C1 dà segnali di ripresa, invece: forse merito dei gironi misti e di qualche grande decaduta tipo Verona e Foggia). Conclusione: chi non ha Sky e non vede il calcio in chiaro ha semplicemente deciso di fare a meno del calcio. Insomma: la pluralità di canali di distribuzione (videofonini, web tv, eccetera) e la confusione a livello di diritti tivù stanno mascherando quella che a tutti gli effetti è una riduzione del mercato dal punto di vista della domanda. Se questo porterà a stadi più piccoli e migliori, inevitabilmente più pieni, magari si potrà accettare. Ma il miliardo di Matarrese è lontano, lontanissimo.

4. Chi pensa che il calcio sia solo quello che accade in campo lo sottovaluta, almeno nei paesi in cui il calcio è di fatto l’unico sport di massa oltre che spesso l’unico interesse al di fuori dell’asse lavoro-famiglia che accompagna quasi tutti dalla culla alla tomba. Per questo potrebbe essere utile meditare in anticipo, piuttosto che davanti ad un morto, su quello che potrebbe essere Cagliari-Napoli di campionato del prossimo 27 gennaio. A un primo livello una partita alla quale assisterano a malapena gli abbonati del Sant’Elia, fra una squadra con la retrocessione scritta in fronte nonostante l’organico non peggiore di quello di una Reggina o di un Livorno (ed il discreto mercato di riparazione fra Storari e Jeda, aspettando magari il botto con l’acciaccato Appiah), ed un’altra che passato e bacino d’utenza portano a pensare in grande ma è strutturata, in campo e fuori, come una provinciale. Ad un secondo un teatro per la contestazione di una tifoseria delusa da Cellino ma che dovrebbe esserlo anche di se stessa (stadio semivuoto anche per le partite con le grandi) e per l’ennesimo show di chi con romanisti e atalantini si contende, secondo le statistiche della Polizia (c’è chi ritiene più credibili quelle dei delinquenti, pazienza), lo scudetto di
tifoseria in trasferta più pericolosa per l’incolumità di chi non c’entra niente con il calcio. Dopo qualche specialità della casa esibita a San Siro (un migliaio di tifosi ha provato a sfondare il cordone degli steward) circa 400 sostenitori partenopei hanno voluto prendere il treno Milano-Napoli rifiutandosi però di pagare il biglietto: siamo in Italia o no? Non sono quindi stati fatti salire (ricordiamo che erano scortati), ma a questo punto sono entrati in azione i loro compari che il biglietto l’avevano pagato (non esageriamo: diciamo quelli che erano già sul treno), che hanno azionato più volte il freno di emergenza impedendo quindi al convoglio di partire. La facciamo breve: la corsa è partita con tre ore di ritardo, con a bordo anche i senza biglietto. Il tocco magico di italianità è stato dato dalla Polfer, che non ha preso nessun provvedimento restrittivo nei confronti dei responsabili. Bisogna sempre ricordare le percentuali: a San Siro c’erano ad occhio diecimila napoletani, qui stiamo parlando di meno di mille. Ma pensare che ‘solo’ il dieci per cento dei frequentatori degli stadi sia questa spazzatura (tanto per stare sulla notizia) non è una gran consolazione…Al terzo livello Cagliari-Napoli sarà una sfida ad altissimo rischio in cui i rispettivi ultras avranno un palcoscenico pazzesco per lanciare messaggi in relazione alla tragicommedia dello smaltimento dei rifiuti, che già nei recenti disordini di piazza li ha visti protagonisti più o meno prezzolati: in Campania contro tutti ed in Sardegna contro il governatore Soru apparso troppo prodianamente entusiasta di ricevere la monnezza di Bassolino. Criticare l’Osservatorio del Viminale è facile, ma qualsiasi scelta prenda giovedì sarà inevitabilmente sbagliata: di solito si è sempre preferito tenire unite e controllate le tifoserie, piuttosto che averle in libertà nei pressi dello stadio, ma spiegare all’opinione pubblica (che non esiste: ci sono solo tifosi, in ogni ambito) che la strategia di ordine pubblico meno pericolosa sia quella del ‘male minore’ è sempre difficile. Insomma, impedire la trasferta alla curva napoletana è la decisione più probabile, ma ha molte controindicazioni. Soprattutto per Napoli…

5. Edicola della periferia di una presunta grande città, statistiche ufficiali curate dall’edicolante stesso: ”Ogni giorno vendo di solito una ventina di copie del quotidiano sportivo che ha sede in questo posto. 6 sono quelle dei 6 bar che si servono qui, ogni giorno. 9 sono di lettori abituali in pensione o quasi: gente abitudinaria che compra questo giornale da decenni e continua a farlo. 5 o 6 le vendo a persone più giovani, a seconda della squadra che va bene: la sfortuna è quando i due club di questa città vanno male nello stesso momento, ma per fortuna accade di rado. I giorni in cui vendo di più sono quelli dei collateral o di qualche grande evento. Punto”. E pensare che frequentando le tribune stampa si sentono discorsi contro l’apertura dei giornali e delle pagine sportive non diciamo a sport diversi dal calcio (non sia mai), ma ad un mondo di vedere il calcio che esuli dalla cronaca dell’ovvio e dal calciomercato trash. Ah, quelle belle descrizioni dei cross di una volta, quelle sì che spostano copie. Per non parlare di Lampard che ha già firmato, sentita anche la sera prima su Telecondominio…

6. Esistono collezionisti praticamente di ogni cosa (conosciamo gente che conserva e cataloga i tappi di champagne, non stiamo scherzando), speriamo ne esista uno che sia cultore degli articoli sul calcio africano ‘calcio del futuro’, magari con la prudente e recente aggiunta ‘anche se sul piano organizzativo c’è molto da lavorare’. Domenica 20 gennaio incomincia in Ghana la Coppa d’Africa e siamo qui a fare i discorsi di sempre, su un calcio raggiunge certi livelli solo quando viene colonizzato. Con colonizzatori peraltro di seconda scelta, pur con tutto il rispetto che merita chi abbandona casa per inseguire il proprio sogno. Per quanto riguarda il nostro orticello la notizia è che l’Italia ha risolto il problema dell’assurdità della data semplicemente abolendo l’Africa: scorrendo le rose delle 16 partecipanti si notano infatti un’infinità di giocatori del campionato francese, molti di Premier League e un po’ meno dai massimi campionati di Spagna e Germania (pochi ma buonissimi, da Eto’o a Sanogo, passando per Diarra e Kanoute). E la serie A? Rappresentata da Asamoah Gyan e Barusso (Ghana, Udinese e Roma), Makinwa (Nigeria, Lazio) e Papa Waigo (Senegal, Genoa). Come dire: un attaccante che in questo campionato ha segnato tre gol (Asamoah), due che ne hanno segnati zero (Makinwa e Papa Waigo, anche se il genoano ha avuto poco spazio) e una riserva delle riserve (Barusso) con meno di mezzora di impiego totale da parte di Spalletti. Conclusione: se da Brasile e Argentina devi comunque passare, per avere gente che faccia la differenza, e quindi conviene contrattare volta per voilta le convocazioni (tutto ha un prezzo), dell’Africa puoi tranquillamente fare a meno. Chi rimarrà per un mese senza Drogba, Essien, Kalou e Mikel magari è d’accordo…

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