Atletica

Uomini di serie B

Stefano Olivari 19/07/2010

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La storia di Caster Semenya è fondamentalmente triste: non la solita vicenda di furbizia e di doping, magari anche ‘solo’ ormonale, ma una condizione di sospetto ermafroditismo che al di là degli aspetti giuridici rende difficilmente presentabile la ragazza sudafricana fra le donne presunte normali. Ieri in Finlandia l’ottocentista campione del mondo ha corso e vinto la sua seconda gara dopo il rientro, rimanendo di oltre sette secondi lontana dal suo personale: dopo le polemiche e lo stop, da due settimane la federazione internazionale (dopo imprecisabili ‘test’) le ha infatti permesso di tornare alle gare in questa stagione senza eventi planetari.
I pensieri cattivi non ci vengono in mente a proposito di questa storia specifica, in cui una soluzione rispettosa dei diritti di tutti (quelli personali della Semenya, ma anche quelli sportivi delle avversarie) non esiste, ma sullo sport femminile in generale. In particolare sulle discipline di prestazione, dall’atletica al nuoto: dove emerge chi appunto ha la ‘macchina’ migliore, quella che più si avvicina a quella di un uomo. Non si può chiedere alle donne di assomigliare a uomini, sia pure uomini di serie B, per ottenere i risultati migliori e poi fare battute sulla loro muscolatura. Così facendo si stabilisce implicitamente che l’uomo è superiore alla donna, cosa che purtroppo con varie sfaccettature suggeriscono molte religioni (in particolare la nostra e soprattutto quell’altra che ci vorrebbe spazzare via dalla faccia della terra), addirittura tramite cronometro e metro si dà una misura a questa differenza. Il pensiero cattivissimo è che se la Semenya fosse stata una strafiga non avremmo letto editoriali di sospetto, ma solo elogi per la sua leggiadria e la sua superiorità nei confronti di avversarie magari anche brutte. Proprio di recente un’altra campionessa, casualmente molto carina e ‘protetta’, ha avuto varie vicissitudini ma i famosi addetti ai lavori (quelli che sanno tutto scrivono niente, quelli che sanno niente scrivono poco) hanno regalato le solite pippe sull’anno di transizione e l’assenza di motivazioni. Tutto questo era per dire che lo sport femminile di prestazione, dove è minima la componente psicologica e tattica, è da buttare. E che questa diciannovenne non arriva nemmeno fra i primi mille nei falsi miti della storia dell’atletica. Parlando di uomini-uomini, vorremmo avere la muscolatura dell’ostacolista David Oliver: non c’entra niente, o forse sì.  
stefanolivari@gmail.com

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