Uno scherzo da Pozzecco

12 Settembre 2022 di Oscar Eleni

Oscar Eleni, con un sacco di cenere per ossigenare la testa quasi mozzata da risultati difficili da prevedere, carico come un somaro, sul ponte berlinese delle spie, gurdando verso la reggia di Potsdam dove stavano i re prussiani per vedere se al balcone si è affacciato Gianmarco Pozzecco per collegarsi con la Slesia dove alla cattedrale dei francescani di Katowice,  terra benedetta dal pallavolismo italiano, Fefè De Giorgi sta spiegando come ha portato l’Italia del volley al titolo mondiale dopo l’Europeo conquistato sempre davanti a 13mila polacchi.

Due maghetti da amare subito e nati ben distanti nel modo di vivere, di fare e di guidare la nave: a Gorizia  la mosca atomica del basket, nel Salento il Ferdinando re dei tre mondi, ora con quattro diamanti da mostrare a chi, in Italia, neppure gli offriva lavoro. Un po’ come Poz sua pazzia calcolata che per lavorare l’anno scorso accettò di fare l’assistente a Messina con cui poi è arrivato allo scudetto e all’investitura nella chiesa di Petrucci che a lui perdona quello che ad altri non lasciava passare, come direbbe Arrigoni dopo Mosca.

Due re Artù con cultura e passioni diverse, salvo quella di tenere sempre allegri i commensali, i compagni di squadra. Capaci di creare due tavole rotonde dove i giovani talenti del volley ascoltavano la voce del capitano MVP Giannelli, una tavolata dove tutti erano alla pari come quella del basket anche se la voce di Melli, insieme a Datome,  sembrava più nitida di quella degli altri.

Quasi pari in statura, 178 centimetri il palleggiatore oggi stratega anche dell’ironia nella grande pallavolo, 181 esagerando il mulo nato a Gorizia, cresciuto a Trieste, padre ex giocatore e allenatore, quasi perduto sul mare di Livorno, riportato alla vita da Varese nel 1994 quando Cappellari lo sdoganò per la gioia della famiglia Bulgheroni e poi del Recalcati, oggi a 77 anni suo assistente maggiore, il priore insomma nel convento azzurro, che arrivò alla stella con  gli eredi della grande Ignis.

Poz ha preso in braccio tutti e abbracciato tutti anche quando, espulso, è uscito in lacrime, anche quando tenuto fuori dalle transenne in ginocchio pregava i suoi dei di incenerire gli ottusangoli che impedivano all’espulso di andare a baciare i cavalieri che avevano compiuto l’impresa come quelli di Barletta con i francesi sprezzanti come i serbi mandati a casa. È saltato al collo anche del dio greco-nigeriano Giannis confondendolo al punto che ci ha messo due tempi per capire come si poteva battere la Repubblica Ceca di Vesely e del grande Satoransky, togliendoci dalla testa, ormai cosparsa di cenere, che ci fosse una maledizione sul girone di Assago vista la fine fatta da Ucraina e Croazia nel giorno in cui chi ci rinfaccia di essere stregati dalla storia del basket e dalla scuola jugoslava faceva marameo visto che dopo l’esclusione di Bosnia e Montenegro, la defenestrazione dei boriosi serbi ha chiuso Euro 22 con la sola Slovenia detentrice fra le prime otto.

Grandi battaglie, guerre di religione, amore e odio, ma certo sappiamo fare male se ci sottovalutano. È storia italiana non soltanto sportiva. Lo fece la Jugoslavia già dimezzata nel 1999 e Boscia Tanjevic, con i suoi banditi, la fece fuori prima di prendere l’oro alla Spagna. Nell’anno dell’Olimpiade spostata il Meo Sacchetti, inviso alla presidenza, costrinse Petrucci a confermarlo, anche se aveva già pronta la lettera di congedo, dopo il clamoroso sacco di Belgrado su una Serbia che in casa pensava di passeggiare. Un po’ come a Berlino dove  era più grossa e più forte, con Jokic che sembrava davvero Golia fino a quando la stoppata di Melli lo ha messo a sedere.

Giornata davvero speciale per lo sport italiano anche se rattristato dall’accusa  per doping che potrebbe fermare e privare della medaglia d’argento Abdelwahed, romano, genitori egiziani,  stesso manager di Jacobs, che secondo l’antidoping avrebbe usato un farmaco per il cuore come la Sharapova che poi fu fermata due anni. Lui nega. Lui dice di non sapere. Speriamo se la cavi. Per il resto ci teniamo la domenica di San Proto, un tempo protettore delle tipografie dove i giornali vivevano fino a trovare edicole che, ora, non si vedono più per la gioia, speravamo il terrore, di editori a cui piacciono la redazione scarna e un sito infuocato.

Giornata speciale anche per Sassari che nel giorno magico del viandante Spissu, appena recuperato da Kazan per una nuova avventura italiana alla Reyer Venezia, ha visto la Dinamo di Sardara battere l’Armani cantiere nella finale del torneo di Cagliari. Spissu che anche noi non vedevamo come pilota unico per  Azzurra, sapendo che Pajola avrebbe potuto dare ad una difesa senza chili, centimetri, quegli artigli che, come si è visto con Croazia e Serbia, hanno mandato fuori di testa tutti quelli che credevano di essere Bogdanovic o Jokic, insomma da NBA, invece che giocatori trovati spesso mancanti appena erano pesati dalla sfida vera sul campo.

Pagelle e tigelle per festeggiare con vino buono, cosa che piacerebbe anche al De Giorgi che dopo l’oro mondiale in Brasile ci accompagnò sul mare freddo a smaltire insieme la sbornia che Velasco subdolamente aveva imposto per dimenticare subito la gioia e mettersi a pensare al domani. A tavola col Poz non ci siamo mai stati, magari eravamo in tavolate differenti come una a Bologna dove arringò la folla contro i giornalisti malvagi che non vedevano la grandezza dei suoi compagni Fortitudo, magari risentito per l’esclusione dall’Europeo vinto nel 1999, convinto che la scintilla fosse scattata per uno dei suoi tanti scherzi a chi stava lavorando. Puttanate, inezie. Come si fa a non voler bene ad un tipo del genere, comunque saremmo in minoranza e questo piace tanto a Petrucci perché se la Nazionale è amata, il basket sfonda, lui può sorridere anche adesso che è convinto di aver già dato ed è pronto ad una successione nella sua Balmoral laziale.

10 A DE GIORGI e POZZECCO perché con le loro imprese hanno costretto persino la RAI, nella Domenica Sportiva, a mettere in coda il calcio  litigioso che odia il VAR, la Formula uno dove la Ferrari ha portato all’incasso record sul circuito di Monza che ora vuole aprire anche alle moto.

9 A GIANNELLI e MELLI due luci nella navigazione di Nazionali che ci hanno fatto felici. Certo la nave della pallavolo è già in porto con l’oro, come quasi tutte le sue giovanili, uomini e donne, mentre quella del basket per sognare l’impossibile deve far fuori i pavoni di Francia che ci fecero fuori a Tokyo e che a Berlino sono stati graziati dalla scriteriata Turchia scippata in tanti modi.

8 A SPISSU e PAJOLA per come si sono divisi la difesa del forte, a FONTECCHIO per come è entrato nella dimensione di giocatore NBA, insomma di un’altra categoria. A POLONARA che ci dispiace abbia scelto di starsene all’estero invece di tornare qui dove, certo, non lo hanno sempre trattato bene. A DATOME capitano misurato e puntuale quando serviva il tocco di classe anche con il tabellone amico.

7 Alle squadre tecniche che hanno accompagnato i due generali e per Edoardo CASALONE piemontese di Valenza, classe 1989, che dopo l’espulsione del Poz ha portato l’Italia al successo dirigendo bene il finale con Fois e Fucà.

6 Al MARKKANEN che ha fatto fuori i croati segnando 43 punti per il modo in cui sa stare in campo, da campione e non da fenomeno come molti di quelli che giocando nella NBA pensano di avere soltanto diritti e nessun dovere, cominciando dall’idea di fare squadra.

5 Alle formule di questi campionati dove giochi tante partite ravvicinate per il nulla della qualificazione e poi, in una partita secca, puoi essere spedito a casa. Una crudeltà che spiega bene chi sono i reggitori dello sport nel mondo.

4 Alla grande ITALIA di Berlino se farà dimenticare a chi dirige il treno della FIP, agli allenatori, quelli ben pagati e quelli trattati come i rider se si occupano delle giovanili, che i miracoli aiutano, ma forse sarebbe meglio lavorare per migliorare chi va in palestra, per trovare  gente col fisico giusto che, al momento sembra orientata verso altri sport.

3 A GIANMARCO TAMBERI che ci fa delirare, che ha vinto un altro diamante da 30 mila dollari in luna di miele, perché non ci piace questo divorzio tecnico, perché, come il Poz, suo amico immagino, fa di tutto per farci passare per bacchettoni incompetenti. Forse hanno ragione, ma si soffre come quando si ama non riamati.

2 Alla RAI così generosa con la pallavolo e così avara col  basket. Domenica ha dovuto rimediare e bisogna dire che lo ha fatto  abbastanza bene, anche se ci è dispiaciuto non vedere in studio il VOLPI tifosissimo della pallavolo, arguto conduttore della DS l’anno scorso. Deve aver sofferto come il nostro caro collega ANGHILERI, la storia scritta bene del nuoto in GAZZETTA non tripletta, che vide la fioritura del movimento quando ormai era a fine corsa e gli restano soltanto i bei ricordi della Calligaris,  di Cagnotto, di Dibiasi e della pallanuoto.

1 Alle SCOPIAZZATURE per cerimonie di apertura e chiusura, di presentazione delle squadre. Americanate le chiamavamo quando qualche bella idea sembravano averla anche i nostri organizzatori. Troppo rumore, troppi urli, chi guardava in televisione per dirette da Katowice o Berlino ha dovuto chiudere le finestre e con questo caldo che non ci molla un disastro.

0 Agli arbitri di eurobasket, soprattutto alla terna che ha diretto la caccia all’uomo dei belgi contro la Slovenia di Doncic, ultima rimasta in gara  della grande scuola, lasciando  che falli terminali sul ragazzo prodigio che certo andava sopra le righe, passassero come falli comuni, in un torneo dove abbiamo visto fischiare degli antisportivi per una carezza. Il peggio è in chi dirige e in chi ha escluso gli arbitri di Eurolega solo per far capire chi comanda e chi vuole tutta la borsa del giochino.

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