Terrorizzati da Qix

21 Gennaio 2021 di Paolo Morati

Ci sono videogiochi che pur nella loro apparente semplicità rappresentano di fatto una sfida estremamente ardua anche per i più abili. Qix, uscito nel 1981 per mano della branca americana di Taito, opera di Randy e Sandy Pfeiffer (erano marito e moglie), è uno di questi. Obbiettivo: colorare un’area nera vista dall’alto tracciando dei perimetri chiusi, ad angoli retti. Detto così sembra facile, no?

In realtà Qix non è un gioco di disegno, ma anzi una fuga da una realtà inquietante, a partire dal poco amichevole sonoro e dalla grafica scarna. Di fatto, guidando un pennarello a forma di rombo (il marker) si parte dai lati e si tracciano delle linee, in orizzontale o verticale, da riempire di verde e di rosso a seconda della velocità del pennarello stesso. Evitando di farsi catturare dai nemici, di natura e intenzioni non meglio precisate.

Sì perché Qix era (ed è) un gioco che necessita grande attenzione. Mentre si colora – guadagnando punti in base al colore e tramite alcuni bonus – bisogna anche stare attenti alle barre colorate che si muovono in gruppo sullo schermo, dalle quali deriva il nome del gioco, e delle scintille che ci inseguono sulle stesse linee che tracciamo. Come molti degli arcade usciti in quegli anni, Qix è arrivato con varie modifiche, per non parlare dei tanti cloni, fino all’era della PlayStation, ma in ogni caso ha aperto la strada a nuovi meccanismi di gioco. Noi continuiamo a ricordarcelo soprattutto per quei poco rassicuranti suoni sintetici che uscivano dal suo cabinato. Che paura!

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