Cinema

Sly, i rimpianti di Rocky

Stefano Olivari 08/11/2023

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Sylvester Stallone è Rocky e Rambo, non è che li abbia soltanto interpretati. Pochi grandi attori riescono a dare vita ad un personaggio memorabile, lui ci è riuscito addirittura con due diversi e per molti versi antitetici: Rocky è un essere sociale, che trae lezioni positive anche dalle disgrazie, Rambo decisamente no, dalla società è rifiutato e lui rifiuta la società. Questi successi non gli hanno impedito di andare fuori strada, nel cinema e nella vita: è questo il tema di Sly, appena visto su Netflix, documentario di Thom Zimmy che in realtà non è un documentario (e meno male, perché di storielle wikipedistiche e/o autocelebrative sono piene la televisione e la stessa Netflix) ma quasi un monologo di Stallone incentrato sui rimpianti. Personali, come il rapporto con il padre e con il figlio Sage, ma soprattutto cinematografici.

Venendo al punto: Stallone si è pentito di avere, ad un certo punto, dopo Rocky V, quindi dal 1990, trascurato i suoi due personaggi più amati (da ricordare che Stallone ne è anche il creatore, oltre che lo sceneggiatore principale e talvolta anche regista), per inseguire il successo nella commedia o in quei film d’azione studiati a tavolino che possono funzionare ma di cui lui non aveva bisogno da alcun punto di vista. Per almeno 15 anni, come osservato da Quentin Tarantino in interventi molto acuti (non sarà il miglior regista del mondo, ma il miglior critico sì), si è visto uno Stallone fuori fuoco, che faceva cose in cui palesemente non credeva.

Un po’ perché lui, eccellente scrittore e attore identificato con Rocky e Rambo, voleva essere considerato un attore completo (fra le righe si legge la sua ammirazione per De Niro), e un po’ perché i produttori non credevano più in Rocky e Rambo, i due personaggi sono stati accantonati fino al 2006 e al 2008, quando sono tornati con opere commoventi, e addirittura Rocky ha trovato un erede politicamente corretto in Creed, operazione da cui ormai Stallone si è staccato.

Di sicuro Stallone è troppo duro con se stesso, almeno per la parte cinematografica, perché la sua filmografia è piena di altri titoli e personaggi clamorosi: il Johnny Kovac di F.I.S.T, il Deke DaSilva dei Falchi della notte, l’Hatch di Fuga per la vittoria, il Marion Cobretti di Cobra, il camionista di Over the top, lo sceriffo di Cop Land e tanti altri, fino ad arrivare ai giorni nostri con l’operazione I mercenari, arrivata ormai al quarto episodio, giusto mix di citazioni e attualità. Un grandissimo, che come quelli piccoli arrivato a 77 anni sente che tutto è scivolato via. Ma nel suo caso non è vero: Rocky e Rambo sono maschere eterne e non a caso lui si è rifiutato di farli morire, “Perché il pubblico non vuole che il male vinca“.

stefano@indiscreto.net

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