Anni Ottanta

Rosso di sera, addio a Paolo Mosca

Stefano Olivari 01/12/2014

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Paolo Mosca è morto da poco, a 71 anni: non abbiamo ancora letto suoi coccodrilli ma siamo pronti a scommettere che verteranno sui suoi tanti libri (quasi tutti basati sui buoni sentimenti, non proprio il nostro genere), sul giornalismo (è stato direttore della Domenica del Corriere, nonché figlio del grande Giovanni e fratello del grandissimo Maurizio), sugli spettacoli teatrali, addirittura anche sulla musica visto che in gioventù partecipò a un Cantagiro. Magari qualcuno lo ricorderà anche come conduttore RAI de Il Cappello sulle Ventitre, ma per noi sarà sempre l’anima e il volto di Rosso di Sera, trasmissione di culto anni Ottanta che prima su Telereporter, poi su Telelombardia e infine su varie emittenti gemellate di mezza Italia allietò le seconde serate di adolescenti e uomini di mezza età.

Lo studio, ideato genialmente, voleva ricreare in parte atmosfere da night club già fuori dal tempo 30 anni fa e in parte quelle dell’avanspettacolo: non quello dei tormentoni alla Zelig, ma quello anni Quaranta-Cinquanta fatto da prestigiatori, cantanti confidenziali, barzellettieri seriali, donne fatali o aspiranti tali. Nonostante gli inizi locali, localissimi, gli ospiti erano di un livello eccezionale: in parte per merito delle conoscenze personali di Mosca e molto perché le tivù locali dell’epoca pagavano chi ci lavorava. Giornalisti come Roberto Gervaso, chef come Gualtiero Marchesi, artisti come Aligi Sassu, intellettuali come Silvio Ceccato, campioni come Duilio Loi, stilisti come Elio Fiorucci, eccetera. Anche se ovviamente noi eravamo lì davanti al video per le interviste alle varie Petra Scharbach, Moana Pozzi, Ramba, eccetera.

Spesso e volentieri presente il fratello Maurizio, con battute che avremmo ritrovato edulcorate (ma nemmeno troppo) nel suo lisergico Appello del Martedì, il momento di super-iper-mega culto era quello della mansarda: in realtà uno stanzino tristissimo in cui una finta fotografa scattava finte fotografie a finte modelle in (vero) topless. Indimenticabili anche le vallette, vestite (non molto) da cameriere: nella formazione titolare erano Shamira, Deana e Nathalie. Il tutto a ricreare un’atmosfera assurdamente fuori dal tempo, resa gradevole anche dai modi di fare educati e signorili di Mosca. La stessa atmosfera che in formula riveduta e corretta, Mosca avrebbe proposto nel suo già citato Il cappello sulle ventitré, in onda su Rai Due:  in realtà era una trasmissione ereditata da Gino Paoli e Ombretta Colli (!), a cui lui diede quel tocco di peccaminoso ma non troppo. O meglio, quello che un ragazzino degli anni Cinquanta pensava fosse peccaminoso, tipo gli spogliarelli alla Crazy Horse (era fissato non a caso con Rosa Fumetto) o certi balletti che con gli occhi di oggi non ecciterebbero nemmeno un ergastolano. Pur avendo avuto una carriera in campi diversi, Paolo Mosca aveva in comune con Maurizio proprio questo: lo sguardo e la purezza del ragazzino, anche da uomo.

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