Roma 2024, i Giochi dei cialtroni

21 Novembre 2014 di Stefano Olivari

Nessuno crede davvero che Roma possa ospitare i Giochi Olimpici del 2024, anche se dopo Rio 2016 e Tokyo 2020 dovrebbero toccare all’Europa, ma tenere vivo questo sogno per 3 anni (il CIO deciderà nel 2017) fa comodo a tutti quelli che conteranno qualcosa nell’Italia dei prossimi 3 anni: da Malagò a Renzi, che mettendosi in contrapposizione con il triste Monti ha spiegato che “Non penso che ci sia un progetto troppo grande per l’Italia”, passando per il traballante Marino che per l’epoca sarà già stato dimenticato come sindaco. Discorso che vale anche per gli oppositori, da Salvini che tiene d’occhio il target di ‘Roma ladrona’ alla sinistra-sinistra che vede (con ragione, peraltro) nello sport l’oppio dei popoli pagato dai popoli stessi. Il problema non è in realtà il progetto, perché Roma ha più impianti pronti o semi-pronti della maggior parte delle aspiranti (a maggior ragione con la nuova politica del CIO, che consente di ‘usare’ anche altre città della stessa nazione), e nemmeno il suo finanziamento. I 2 miliardi di contributi di Losanna per l’organizzazione delle gare sembrano a prima vista pochissima cosa rispetto a quanto costino i Giochi oggi: Business Week ha stimato in 45 miliardi di euro i costi diretti di Sochi 2014, con moltissime meno specialità e atleti (un quinto) rispetto alle edizioni estive. Il discorso però cambia pensando agli 11 miliardi di euro (questa sì che è una cifra ufficiale, addirittura inferiore del 10% rispetto al preventivo) di Londra 2012 che rappresentano il vero termine di paragone per un paese democratico. Meno dei contributi non ancora erogati ai terremotati dell’Emilia, come ha ricordato Salvini, ma anche circa un terzo dell’intera Legge di stabilità 2015 (ricordiamo noi). Il trucco è che questi soldi non vanno certo tirati fuori subito, semmai sarà un problema dei governi che ci saranno dopo il 2017 se l’Italia esisterà ancora come entità unita e indipendente. Sperando chiaramente di non battere le varie Parigi, Berlino, Doha, Baku, forse anche San Pietroburgo e una americana ancora de definire: non ci dovrebbe essere pericolo, in ogni caso. Quindi la candidatura olimpica fino a quando rimane candidatura (quella italiana nemmeno lo è, il limite per formalizzarla è l’estate 2015: nel caso si diventerà ‘Applicant city’ per trasformarsi nel 2016 in ‘Candidate city’ e poi al limite nella sede dei Giochi) non è altro che propaganda di chi la propone e di chi le si oppone. Alla fine sembra quasi più serio Pallotta quando parla di Roma-Bayern al Colosseo.

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