Svegliarino

Ragazzi di oggi

Stefano Olivari 24/08/2008

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Il dolore per la fine dei Giochi è troppo grande per un’analisi a caldo delle due settimane e mezzo di gare e di rappresentazione delle gare stesse, che quindi rimandiamo a domani lunedì 25 agosto. Rintronati per l’ultima non stop, dalla 1 e 30 per la maratona alla fine di una cerimonia di chiusura più sintetica ed emozionante di quella di apertura, passando per Usa-Brasile di pallavolo, Cammarelle, la fine della finale della pallamano, con la prospettiva di un Inter-Roma che comunque è meglio che lavorare in miniera, non riusciamo a levarci dalla mente una finale del basket maschile che pensavamo avrebbe seguito la falsariga di quella femminile del giorno prima. Gatto con il topo, in estrema sintesi. Con il topo (Australia o Spagna) a tentare la partita perfetta ed il gatto inarrestabile a campo semiaperto ed in tutte le situazioni premiate dal maggior atletismo. Invece…invece è venuta fuori la miglior partita di un’avversaria degli USA dal 1992 ad oggi: meglio ovviamente dei tanti massacri, ma anche delle sporadiche imprese argentine, greche, serbe, portoricane e spagnole frutto di supponenza tattica americana (le zonette con braccia abbassate con Portorico 2004, la non difesa sul pick and roll contro la Grecia 2006, l’individualismo spinto) ed in generale di un cattivo atteggiamento. A Pechino gli USA hanno giocato nel modo migliore per asfaltare una squadra FIBA: con quasi sempre in campo cinque elementi atletici, non egoisti, preparati ad attaccare le zone, che non fermano ma il gioco, clamorosi nell’uno contro uno ma anche con anche tiro da fuori. Per dire, la classica tonnara da playoff Eurolega può creare frustrazione in Garnett e Duncan abituati ai tre secondi difensivi, ma non in Kobe o LeBron disposti a fare i coprotagonisti, a ribaltare il lato di gioco con pazienza e a premiare i tagli dei compagni. Specie dei più indigesti per avversari relativamente fisici, come il clamoroso Wade delle ultime due settimane: prima solo schiacciatore, andando avanti anche cacciatore di liberi ed insolito tiratore. Insomma, coach K ben consigliato da D’Antoni, Boheim e Colangelo, non ha sbagliato niente evitandosi anche le sostituzioni cronometro in mano che tanto male avevano fatto alle edizioni precedenti di team USA (anche la sua del Mondiale 2006, fra l’altro). Per questo ciò che ha fatto una Spagna mezza rotta, senza Calderon, con mezzo Lopez ed un quarto di Garbajosa, ha aperto davvero una nuova era. Grazie al minorenne Ricky Rubio, che ha fatto Maravich solo a tratti (clamoroso un assist cieco a Gasol), in attacco ha mostrato più coraggio che buone scelte, ma ha difeso benissimo su qualunque guardia americana: anche se la retorica sulla Spagna giovane e vincente in tutti gli sport ha stancato, va detto che in una finale olimpica questo liceale ha giocato 29′ da protagonista. Grazie ad un invasato Rudy Fernandez, con meno tiri ignoranti del solito ed un atteggiamento fisico che ha sorpreso Bryant e chi si è alternato su di lui. Grazie ad un Pau Gasol cattivo, che con il fratello Marc ha preso sottocanestro il pulito e lo sporco. Grazie ai runner anni cinquanta di Navarro, alla presenza mentale di Reyes, alla concretezza di Jimenez, il meno due a 8′ e rotti dalla fine è sembrato spiegabile nonostante la buona difesa degli USA sui portatori di palla ed agli inevitabili break appena il ritmo si alzava. Poi il 118 a 107 finale indicherebbe un semplice corri e tira, ma la partita è stata molto di più: ha detto che possono perdere anche gli USA migliori, con l’atteggiamento migliore ed i giocatori più motivati. Una medaglia d’oro che sembrava scontata non lo è poi in realtà stata. Una finale meravigliosa, da registrare e conservare, ha riscattato quindi un torneo pieno di partite chiuse con facilità anche fra squadre di pari rango. Abbiamo cercato di parlare di basket per dimenticarci dei quattro anni che abbiamo davanti. A domani per i bilanci.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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