PER chi suona la campana

20 Dicembre 2012 di Stefano Olivari

John Hollinger ai Grizzlies, le novecento vittorie di Boeheim e lo strano esonero di Frates.

1. La Espn perde John Hollinger che dopo otto anni di onoratissimo servizio diventa vice-president of basketball operations ai Memphis Grizzlies. Hollinger è probabilmente il miglior analista di basket esistente, per lo meno nella categoria giornalisti, ma come ben sappiamo noi suoi follower su Twitter ha anche il gusto della battuta fulminante durante le partite che sta guardando. Un po’ supertecnico, un po’ Zander Hollander. Sia come sia, il proprietario dei Grizzlies Robert Pera lo ha assunto proprio per la sua competenza tecnica, che va anche al di là dell’ormai famoso PER (Player Efficiency Rating) da lui inventato e che, banalizzandolo un po’, è la versione 2.0 (facciamo 3.0) della ‘valutazione’ a cui siamo abituati fin dai tempi d’oro di Superbasket. Lo scopo del PER, che è solo una delle creazioni statistiche di Hollinger, è sintetizzare in un numero l’apporto che un giocatore dà alla sua squadra. Le voci sono più o meno quelle della valutazione (in positivo tiri segnati, rimbalzi, assist, palle recuperate, stoppate, in negativo tiri sbagliati, falli e palle perse), ma la chiave di tutto è ponderarle sul minutaggio dei giocatori e sul cosidetto ‘pace’ della squadra. Così si possono intravedere le qualità nascoste anche di un panchinaro di una squadra che gioca al limite dei 24 secondi e non sopravvalutare quelle di un ‘veneziano’ sempre in campo in una squadra con alto numero di possessi. Il PER supera molte delle imprecisioni della valutazione ma non quella che a nostro avviso è la principale: la sottovalutazione della buona difesa, che non è tutta traducibile in numero di palle recuperate e meno che mai in stoppate (Howard difende meglio di Garnett?). Per la difesa, facciamo gli Hollinger dei poveri, sarebbe semmai meglio un plus/minus del giocatore Tizio parametrato su quello della squadra nei minuti senza Tizio, ma è solo una nostra idea. Dopo tante seghe mentali, ma nemmeno tanto, un domanda sorge spontanea: chi è il giocatore della storia NBA con il miglior PER? Risposta: Michael Jordan, con LeBron James secondo e Shaq terzo. Il mitizzatore del primo, rivale del secondo ed ex amico del terzo (sì, Kobe Bryant), è diciottesimo. Segno che il PER sa contare ma, per parafrasare Cuccia, non sa pesare. Forse ci vuole un PER per i minuti NBA giocati sul serio.

2. Un numero solo per Jim Boeheim: 900. Dopo la vittoria della sua Syracuse a Detroit il record del coach è diventato di 900-304. Nella storia Division I della NCAA solo Bob Knight (902) e Mike Krzyzewski (936) hanno fatto meglio, mentre le 34 stagioni con almeno 20 vittorie (in media le partite sono sulla trentina) sono per Boeheim un record assoluto. Dietro alla zona 2-3, suo marchio di fabbrica nel 2012 (trent’anni fa non sarebbe stato un’eccezione, ma appunto, trenta anni fa) c’è di più, soprattutto l’adorazione di quasi tutti i suoi ex giocatori: cosa che per il vero allenatore di college rappresenta la vera vittoria. C’è anche la storia di un ex ragazzo locale (l’impresa funebre di famiglia aveva sede non lontano da Syracuse) che cinquant’anni fa da giocatore volle fortemente Syracuse, al punto di rifiutare borse di studio garantite per mettersi in gioco come walk-on (traduzione: uno studente aggregato alla squadra ma con la retta universitaria a suo carico in totale o almeno in parte). Una storia con un lieto fine, iniziata come compagno di camera di Dave Bing (futura stella NBA e attuale sindaco di Detroit) e proseguita con la conquista già nell’anno da sophomore della ambita borsa di studio. NBA sfiorata, con provini ai Chicago Bulls e ai Detroit Pistons, mentre il resto è praticamente storia di oggi: 37 anni da head coach rispettatissimo e non solo per la lotta contro il cancro e per le statistiche, che nel mondo NCAA sono sempre in parte drogate (nei primi due mesi di stagione il record viene spesso costruito in maniera pugilistica, prima dell’inizio dei tornei di conference), l’introduzione nella Hall of Fame, un titolo assoluto (nel 2003, nella stagione dello ‘one and done’ di Carmelo Anthony) e mille storie che in parte si incrociano anche con l’Italia. Sottoforma del grandissimo Roosvelt Bouie, uno dei suoi giocatori più amati, centro degli Orangemen dal 1976 al 1980 e poi protagonista a Pesaro, Reggio Emilia e Cantù (con un ultimo fuoco a Marsala). Nei quattro anni sotto Boeheim, in tandem con Louis Orr (che una discreta carriera NBA, soprattutto ai Knicks, l’avrebbe avuta), formò un’intesa che viene ricordata ancora oggi come il ‘Louie ‘n Bouie show’, che in un quadriennio portò a un record di 100-18 (un titolo della Big East nel 1980 e tre Sweet Sixteen, cioè ottavi di finale nel torneo NCAA). Ci piace parlare di Boeheim, fra l’altro assistente nella nazionale americana vincitutto dell’ultimo quadriennio, perché ad alto livello rappresenta uno degli ultimi esempi di allenatore di college con ambizioni di educatore, senza nemmeno bisogno di tirare sedie o insultare i propri giocatori. Più simile a Coach K che a Knight, in questo. Fino al 2003 ovviamente definito ‘un perdente’.

3. L’esonero di Fabrizio Frates da viceallenatore dell’Olimpia Milano, con il suo posto preso da ‘Lupo’ Rossini (peraltro già nello staff di Scariolo), ha conquistato sui quotidiani generalisti quello spazio che la pallacanestro italiana ormai ottiene solo con le gesta dei tre ragazzi NBA e le interviste all’acqua di rose concordate con lo sponsor. Non si ricorda un ‘vice’ esonerato a causa dei risultati della squadra con il capo che rimane al suo posto: a volte avviene il contrario, più spesso c’è l’esonero in blocco. La dietrologia dice che Frates fosse il candidato più credibile per la successione, almeno come traghettatore, allo stesso Scariolo e che quindi l’ex ct della Spagna abbia posto la società davanti ad una scelta del genere ‘lui o io’. Difficile ipotizzare che Frates avesse colpe specifiche in una stagione che avrebbe dovuto segnare la fine dell’era di Siena e che invece è iniziata con una eliminazione precoce dall’Eurolega ed il rischio concreto di essere fatti fuori dalle otto che a febbraio si giocheranno la Coppa Italia proprio al Forum. L’atteggiamento durante le partite era molto distaccato, non certo da Frates (che nella sua ottima carriera ha avuto problemi proprio per il motivo contrario, non solo durante il periodo Fortitudo e non solo durante le partite), ma l’esonero ha sorpreso lo stesso. Armani e Proli magari non lo sapevano, ma di sicuro Scariolo era a conoscenza del fatto che Frates avesse allenato per 20 anni in serie A. La seconda corrente di pensiero dietrologica, che non è in contraddizione con la prima, parla di un Frates troppo ‘milanese’ in una società che di milanese ha poco e pochi, e quindi troppo amico di alcuni giornalisti locali. Così ci dicono alcuni di quei giornalisti presunti confidenti, noi che non facciamo parte della parrocchietta ci limitiamo a registrare. La ‘davantologia’, che spiega di solito molte più cose, dice che nella cultura europea il viceallenatore può appartenere solo a tre tipologie: un fedelissimo del capo, un giovane sottopagato, un anziano consigliere. La convivenza Pianigiani-Banchi a Siena, peraltro in certi momenti davvero difficile, è stata consentita solo da sei irripetibili anni di vittorie in un contesto politico e sportivo decisamente favorevole (traduzione: le bolognesi ridimensionate o scomparse, la Benetton segata dal caso Cuccarolo-Lorbek nel primo anno del ciclo senese, Roma e Milano a spendere male). E adesso? Tutte le mosse recenti stanno venendo smentite: torna Bremer, i cui primi mesi al Fenerbahce sono stati tragici, forse torna Radosevic, Cook da capitano passa a ceduto, per Hendrix si cerca una transazione impossibile. Detto questo, c’è ancora il tempo perché la parte italiana della stagione prenda un’altra piega: l’innesto di due mestieranti, l’utilizzo più continuo di Bourousis, qualche giro di vite in difesa e l’umile cavalcamento di Hairston e Langford (poi quando vinci sei un grande players’ coach, quando perdi un cane senza schemi) potrebbero bastare almeno per un’altra finale scudetto.

Stefano Olivari, giovedì 20 dicembre 2012

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