Parole senza microfono

2 Luglio 2009 di Stefano Olivari

A Milano esiste ancora qualcuno che non organizza (o non sa organizzare) eventi, la serata al 4-4-2 per l’Altra Milano lo ha dimostrato. Venti persone attese, ospiti d’onore compresi, duecento e passa arrivate di cui almeno centonovanta non sono riuscite ad ascoltare una parola di quelle dette dagli ex presidenti (Milanaccio e Caspani della Pallacanestro, Maifredi della federazione), dagli ex campioni (Isaac, Zanatta e De Rossi), dagli ex giornalisti (noi) e dai giornalisti ancora in servizio (Eleni, Beccantini, Arrigoni). Il colpo di genio è stato infatti quello di non prevedere l’uso del microfono, in una conferenza stampa…Cerchiamo di rimediare fuori tempo massimo, andando dritti sul punto d’arrivo, che non è tanto far rinascere ad alto livello una squadra rimasta nella memoria generazionale (basterebbe un pazzo appassionato con i soldi veri, paradossalmente sarebbe la cosa più semplice: un diritto di LegaDue costa 300mila euro, ce li ha anche il nostro dentista) ma proporre nel 2009 un ritorno al passato per il basket di tutta Italia. Non alla preistoria, ma ad uno sport professionistico con squadre riconoscibili, giocatori non di passaggio, visibilità anche per le famiglie non dotate di pay-tv. Memore dei miliardi (di lire) spesi all’epoca (Bovone, Gennari e Cosmelli i colpi che scossero il mercato), il co-fondatore della Lega Milanaccio ritiene impossibile una visione imprenditoriale del basket in Italia: anche a livelli inferiori alla serie A è un’attività in perdita, adatta a ricchi signori con passione, desiderio di visibilità o scopi meno confessabili (ma è chiaro che con il calcio si ricicla meglio, essendo le cifre più alte). Il discorso visibilità poi mal si adatta a realtà come Milano, Roma, Napoli, dove molti giornalisti di settore sono adagiati sulla sciocca retorica del tipo ‘nelle metropoli esisti solo se vinci’. Più possibilista Caspani, che vede nella fine dell’identificazione il vero problema del basket italiano: secondo il signor Mobilquattro il problema non è tanto il rosso di bilancio, è chiaro che per le aziende il basket è un veicolo di marketing, quanto un ambiente che non riconosce più nemmeno i giocatori di casa propria. Solo un addetto ai lavori, con il sito della Lega sempre online, riesce ormai ad assere aggiornato sui roster. Non è insomma, secondo Caspani, un problema di qualità di basket (peraltro più bassa rispetto a qualche decennio fa, se si prescinde dalle individualità), ma del suo inserimento continuo in un ambiente. Realista anche Fausto Maifredi, che vede l’interesse generale per questo sport uguale a quello di trenta anni fa: per problemi di impianti, per minore esposizione mediatica, ma anche onestamente per suoi limiti invalicabili (spiegare le regole del basket è complicato, inoltre il localismo italiano trova terreno fertile soprattutto nel calcio). Anche con i campioni si è parlato di pallacanestro vecchia e nuova, con aneddoti che ricicleremo abilmente come quelli di Isaac sul bambino Kobe Bryant conosciuto a Reggio Emilia (dove Joe allenava Bryant senior ad inizio anni Novanta). Vi risparmiamo la lista di ringraziamenti ruffiana, diciamo solo che siamo stati contenti di essere lì in mezzo a tante persone che hanno dato la vita per lo sport di base, da Fabio Guidoni a Dante Gurioli.

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