Svegliarino

Ogni cinquantasei anni

Stefano Olivari 01/06/2010

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di Stefano Olivari
Meravigliosa Francesca Schiavone, dopo avere visto il modo in cui ha conquistato le semifinali del Roland Garros bisogna avere l’orgoglio della banalità. Il 1954, primo anno dell’era televisiva in Italia, era stato anche l’ultimo a vedere un’azzurra in semifinale in un torneo dello Slam.
Era Silvana Lazzarino, l’amica-rivale-compagna di Lea Pericoli, era ancora il Roland Garros. Per questo il peso specifico di questa impresa è enorme, con una semifinale da giocarsi contro una campionessa con cui ci sarà comunque partita (i precedenti dicono 6-4 Dementieva, che ha vinto l’unico incrocio sulla terra) ed il sogno non proibito di una finale con Serena Williams. Un risultato arrivato senza sfruttare buchi del tabellone creati da infortuni o da imprese compiute da altri, perchè il buco se lo è creato la Schiavone stessa dominando una Wozniacki mezza infortunata ma pur sempre numero 3 del mondo.
A quasi trenta anni la tennista milanese ha quindi raggiunto il top della carriera: lunedì sia lei che la Pennetta saranno di sicuro nelle prime dieci della classifica WTA, best ranking ever per entrambe. La Schiavone ci è riuscita senza tradire il suo gioco difficile: cambi di ritmo e ricerca di angoli sempre più stretti (soprattutto con il diritto), buona propensione per il gioco di volo  e cambi di rotazione (soprattutto di rovescio). Il serve and volley stile Edberg-Henman che l’ha fatta andare sul match point dice tutto del suo atteggiamento, prima ancora che del suo gioco, e fa riflettere su una carriera sempre a un passo dal podio. Tre soli tornei vinti nel circuito maggiore in 12 anni di presenza costante, ma un grande feeling con il Roland Garros: era nei quarti già nel 2001 (a 21 anni in Italia si è sportivamente bambini), quando perse con Martina Hingis, ed altre tre volte è arrivata agli ottavi.
Cose che ci piacciono di lei: la completezza tecnica, che la fa funzionare su tutte le superfici (ha anche un quarto di finale agli Us Open, nel 2003 perse dalla Capriati: nomi di un secolo fa), l’atteggiamento aggressivo che la differenzia dalle tante vittime sacrificali delle grandissime, un certo tormento interiore che la fa apparire sempre sul filo (della vittoria o del suicidio), il fatto che si autogestisca lavorando con allenatori ma senza mettersi nelle mani di guru o parenti. Qualcuno capirà che questo risultato vale più di dieci Fed Cup? E non è ancora finita. Nell’unico sport davvero universale (anche l’atletica lo sarebbe, ma è divisa in troppe specialità: è più bravo Bolt o Bekele?) due italiane sono al vertice. Non ci illudiamo che possano rubare troppo spazio al calciomercato, ma qualche riga però sì.

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