Meno occasioni di Perani

15 Giugno 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
All’Ellis Park Luis Fabiano ha avuto molte meno occasioni rispetto al Marino Perani di Middlesbrough 1966, però il Brasile la sua Corea è riuscito ad evitarla. L’ha evitata con una difesa perfetta, tolte le leggerezze finali, unita alla capacità di gestire psicologicamente un pessimo primo tempo senza farsi prendere dall’ansia di cambiare tutto. Nessuno del quartetto offensivo era in grande vena: Luis Fabiano non è mai riuscito a liberarsi, Elano ha avuto la prima palla sulla corsa invece che nei piedi nell’occasione del secondo gol (assist di Robinho), Kakà è stato il Kakà imballato-trattenuto anche delle sue poche ottime prestazioni 2009-2010 ma alla distanza può crescere e fare di questo il suo Mondiale, Robinho ha cercato la posizione per novanta minuti ma ha avuto il pregio di essere vivo.
Certo, senza il gol di Maicon all’accademia si sarebbe sostituito lo psicodramma: una prodezza clamorosa, che prova spesso anche con cinque centimetri di spazio sul primo palo quindi figurarsi con trenta. Brasile che ha timbrato il cartellino, ma è stata la serata della Corea del Nord: uomo chiave il 23enne Ri Jun-Il, a seconda delle circostanze libero vecchia maniera dietro una difesa a quattro oppure centrocampista basso abile nel leggere i passaggi avversari e ribaltare l’azione. Più visibile l’uomo copertina Jong Tae-se, il ‘giapponese’ (gioca nel Kawasaki Frontale) punta solitaria che ha corso tantissimo e dato respiro ai compagni quasi sempre schiacciati.  Gli ha dato una discreta mano, pur spompandosi in copertura, l’altro emigrante (per sua fortuna) Hong Young-Joe (gioca in Russia, al Rostov, dopo un’esperienza in Serbia), ma il gol per la storia l’ha segnato il vecchio Ji Yun-Nam, terzino sinistro che a Johannesburg ha giocato in mezzo al campo. Per il Brasile un bel test, per i nordcoreani una bella figura nella partita che tutto il mondo ha visto: difficile possano resistere a Portogallo e Costa D’Avorio, dopo un impegno mentale così intenso, ma scommetteremmo su altre sconfitte onorevoli. Nemmeno sullo zero a due hanno sbracato, continuando brerianamente a difendere il risultato.
Per qualità degli interpreti e intelligenza tattica Portogallo-Costa d’Avorio avrebbe potuto essere tranquillamente un quarto di finale di questa manifestazione, invece uno dei due squadroni quasi certamente farà compagnia alla Corea del Nord nel ritorno a casa immediato. Meglio gli africani, sotto tutti i punti di vista: fisico, atteggiamento, pericolosità, interpretazione di un 4-3-3 quasi speculare a quello avversario. Nel Portogallo non si sono avute notizie di Danny, mentre Cristiano Ronaldo è apparso in forma (la di là del palo su un tiro da fuori dei suoi) ma ha dovuto percorrere troppi metri ad ogni azione. A centrocampo bene Mendes e Meireles, mentre da Deco è nato pochissimo. Liedson intenso alla Schillaci, ma senza mai una vera situazione per fare male: le rare volte in cui ha avuto la palla fra i piedi in zone pericolose è stato cancellato da un grande Kolo Touré e da uno Zokora arretrato in difesa: non un inedito, forse l’Eriksson imbalsamato visto in panchina voleva più costruzione e con il senno di poi (centrocampo dominato dagli ivoriani, bene Yaya Touré come quasi mai quest’anno nel Barcellona) non ha avuto torto. Africani un po’ traditi dallo pseudo-tridente: solo Aruna Dindane è stato all’altezza della sua fama, incredibile come uno così sia andato a seppellirsi in Qatar. Nei suoi 25′ buona impressione ha fatto Drogba, per la sfida con il Brasile al Soccer City sarà senz’altro pronto.  
Ricky Herbert c’era, il 15 giugno di ventotto anni fa alla Rosaleda di Malaga. La prima partita della Nuova Zelanda nella fase finale di un Mondiale e anche i primi gol, due, poco rispetto ai cinque della Scozia di Dalglish e Souness. Primi e fino a poco fa ultimi, perchè dopo avere chiuso a zero con Unione Sovietica e Brasile si sarebbe tornati a un Mondiale solo nel 2010. Il gol messo a segno nell’ultimo minuto di recupero da Winston Reid ha quindi regalato il primo punto iridato della storia neozelandese: questa volta Herbert era in panchina, orgoglioso di una squadra che comunque aveva tenuto testa ad una Slovacchia superiore ma senza un solo attaccante di qualità super. Hamsik ha giocato bene, ma con troppo sacrificio a sinistra in un 4-4-2 rigido mentre sulla fascia opposta il figlio del c.t. provava senza successo a saltare Smith. Weiss avrebbe forse dovuto accentrare il centrocampista del Napoli, ma il problema di base degli slovacchi è stata l’inconsistenza tecnica di Vittek e Jendrisek: visto che il pallone arrivava sulla tre quarti in nove azioni su dieci, anche un solo fraseggio riuscito fra le due punte avrebbe fatto la differenza. Il centrocampo a cinque di Herbert ha fatto il resto, con Smeltz lasciato al suo destino. Brutta partita sbloccata da un brutto gol, testata di Vittek in fuorigioco. Parlare di eroica reazione neozelandese significa non aver visto la partita e voler fare i Soriano dei poverissimi, ma di sicuro la Slovacchia si è suicidata perché non è riuscita né ad addormentare il gioco né a fare contropiede beccandosi un quarto d’ora finale di pericolosi palloni sparacchiati verso la sua area di rigore. Pareggio prima sfiorato da Smeltz e poi arrivato al 93′ grazie al difensore cresciuto in Danimarca. Esultanza commovente, per un risultato che vale un Mondiale e fa piacere a Lippi fino a un certo punto: impossibile arrivare dietro questa Slovacchia, ma per il primo posto sarà decisiva la differenza reti. E gli azzurri incontrano la Nuova Zelanda prima di quando lo farà il Paraguay. Per fare i soliti italiani, per non dire i soliti svedesi, ci sarà comunque tempo.
stefanolivari@gmail.com
(appuntamento a dopo Sudafrica-Uruguay)

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