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La memoria condivisa di Cané

Stefano Olivari 08/04/2014

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La grandissima impresa di Fabio Fognini contro Andy Murray ha fatto produrre editoriali sul tennis a gente che evidentemente segue questo sport solo in occasione della Coppa Davis. Passi per l’appassionato onnivoro, in fondo tutti abbiamo detto la nostra al bar sul Moro di Venezia o su Tomba, ma leggere articoli che paragonano Fognini a Paolo Cané non rende davvero giustizia a Fognini. Intanto perché il tennista ligure è numero 13 ATP, quando la miglior posizione del bolognese è stata la numero 26, oltretutto mantenuta per pochissimo: più si sale più scalare una posizione diventa simile all’Everest, sia per i punti (diventa impossibile ‘costruirsi’ una classifica, come può avvenire fino in zona 30) che per la qualità degli avversari da battere. Passare dalla zona 20 al numero 13 significa dover avere sempre in canna almeno l’ottavo di finale di un Masters 1000. Ma la vittoria su Murray va al di là di questo, perché a quasi 27 anni Fognini ha dimostrato di poter stra-battere il numero 8 ed ex numero 2 del mondo (terza volta in cui batte un top ten, prima volta in cui batte un top ten vincitore di Slam), uno che sulla terra battuta non è Nadal ma che in semifinale al Roland Garros ci è arrivato (e che sulla terra spagnola di Sanchez-Casal è cresciuto, fra l’altro, dopo i primi insegnamenti di mamma Judy) e di gestire bene la pressione che deriva da aspettative sempre più alte: per un ordinario tg italiano essere numero 13 del mondo può significare arrivare ‘solo’ negli ottavi a Parigi. Ma è inutile girarci intorno: tutta la carriera di Paolo Cané nei ricordi dei più è legata, è legata alla vittoria in Coppa Davis, a Cagliari nel 1990, contro Mats Wilander. Un Wilander in precoce declino, dopo avere dato tutto nel decennio precedente e soprattutto nel 1988 (3 Slam su 4 vinti), ma pur sempre Wilander. Tutti si ricordano dove fossero quel mezzogiorno di lunedì, per assistere a quel drammatico finale. Poi da appassionati di Cané ricordiamo di lui moltissimo altro e soprattutto le grandi occasioni sprecate: su tutte quelle del 1987, nei quarti di finale di Roma contro Jaite e al secondo turno di Wimbledon con Lendl (si trovò 2 set a 1 e 5 pari nel quarto contro il futuro finalista di quell’edizione, vinta da Pat Cash). Senza dimenticare l’ottima prova in Davis nel 1993, quando già era semi-finito, contro l’Australia. È però vero che Cané ha goduto, rispetto a Fognini, sia della luce riflessa di Panatta (come capitano) che di più partite televiste in diretta nazionale. Oltretutto sui primi canali del telecomando, quando i canali erano pochi, e che quindi per meri motivi di audience sia destinato a rimanere ‘memoria condivisa’ più di quanto non lo sia Fognini, a meno che ‘Fogna’ (anche per quello che a volte gli esce dalla bocca) non arrivi ancora più in alto e che la sua ipotetica e purtroppo improbabile finale al Roland Garros sia trasmessa in diretta su RaiDue come è stato nel 2010 e 2011 con la Schiavone.

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