Manchester United, Guardiola prima del Milan

5 Marzo 2021 di Roberto Gotta

Manchester City-Manchester United, ovvero come nel calcio tutto cambia anche nella stessa stagione e più o meno con gli stessi uomini. Era giusto un girone fa anche se il concetto, nel calcio inglese, è inesistente visto che le giornate di campionato non seguono la successione numerica come negli altri paesi. Il 12 dicembre il Manchester United pareggiava in casa, 0-0, contro il Manchester City, e Ole Gunnar Solskjaer, l’allenatore, si diceva soddisfatto per «la nostra miglior partita contro il City da quando sono in panchina».

Perplessità, sul momento: in fondo, nel 2019-20 lo United aveva vinto entrambi i derby di campionato e il ritorno della semifinale di Coppa di Lega, anche se il successo esterno per 1-0 non era riuscito a ribaltare la sconfitta per 1-3 a Old Trafford, la celebre partita in cui Pep Guardiola aveva giocato senza punte di ruolo, lasciando in panchina Sergio Agüero e Gabriel Jesus e schierando al loro posto Bernardo Silva e Kevin De Bruyne. Mossa, tra l’altro, ripetuta pochi giorni dopo al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid, con l’unica differenza che Jesus aveva sì giocato ma… da ala sinistra.

Insomma,  qualcuno non aveva gradito le parole di Solskjaer, anche perché quel derby arrivava dopo la brutta partita giocata a Lipsia e costata l’eliminazione dalla Champions League, e la reazione più attesa sarebbe stata… una reazione e non la soddisfazione per uno 0-0. I dati avevano poi confermato in realtà il parere dell’allenatore: quella era stata la gara in cui maggiormente lo United aveva tenuto in mano il gioco, senza affidarsi a una caratteristica abbastanza concreta del suo periodo recente, ovvero la difesa solida – ove possibile – con dispiegamento di mezzi e velocità in caso di recupero di palla.

Il famigerato possesso – di per sé statistica inutile – era stato del 46,2%, cioé quasi 20 punti percentuali in più rispetto ai due derby di campionato dell’anno prima: infruttuoso, ma significativo. La partita del City era invece stata criticata per vari motivi: per il mancato istinto killer nell’affossare gli avversari in difficoltà, per la riluttanza di Guardiola nel modificare l’assetto, con una sola sostituzione (Ferràn Torres per Riyad Mahrez al 66°) che aveva lasciato inalterati persino i movimenti sul campo, perlomeno per quello che si può intuire nella lavatrice tattica del City.

Alla vigilia della partita di ritorno, però, impressionante come siano cambiate le prospettive per le due squadre. Il City dopo quel pareggio smorto e criticato aveva 19 punti in 11 partite, con soli 17 gol segnati. Aveva poi chiuso 1-1 in casa contro l’inguardabile West Bromwich Albion tre giorni dopo e il concetto che era passato era chiaro: niente da fare, questi non sfruttano nemmeno l’incerto Liverpool dei primi tre mesi di stagione. C’erano analisi – comprensibili, visti i dati e vista la situazione – sul vuoto lasciato da David Silva e mai colmato, sulla cessione di Leroy Sane senza un sostituto all’altezza, sulla negatività di Rodri in possesso di palla, eccetera.

Come sia andata, invece, è palese: 21 vittorie consecutive tra coppe e campionato (anche se adesso si dice ‘in tutte le competizioni’ giusto per scopiazzare dall’inglese), scarto incolmabile dalle – parola grossa – inseguitrici e possibilità di vincere per la quarta volta di fila la Coppa di Lega, nella finale del 25 aprile contro il Tottenham, la Champions League e pure la Coppa d’Inghilterra, che prevede un quarto di finale contro l’Everton, in trasferta. Possibile, tra le varie spiegazioni per questa esplosione – compresa la più semplice: il livello di talento è altissimo – che abbiano fatto effetto le parole di Guardiola, che a fine novembre aveva spiegato l’inclusione costante di alcuni giocatori (come John Stones) e l’esclusione di altri con la frase «se gli esclusi vogliono giocare devono dimostrarmelo prima di tutto in allenamento»: nulla di diverso da quel che fanno tutti gli allenatori degni di questo nome (e liberi da pressioni dirigenziali), ma Guardiola aveva espresso questa filosofia in modo clamoroso solo pochi giorni prima dell’unico cambio effettuato contro lo United, quando nel 2-0 sul Fulham non aveva usato alcun giocatore della panchina, prima volta dal 2005 che il City chiudeva una gara con gli stessi 11 con cui l’aveva iniziata.

Lo United, invece, è cambiato poco: saltuarie giornate di gloria, trasformabili in gloria esagerata come in quel 9-0 contro il Southampton (in 10 dopo 2’) in cui segnarono otto giocatori diversi o come nel 4-0 a San Sebastian contro la Real Sociedad, ma anche tre recenti 0-0 consecutivi: l’ultimo a Londra contro il Crystal Palace, peraltro, valutato come occasione persa, perché lo sviluppo tattico della partita era stato azzeccato. Il 12 gennaio lo United era in testa alla classifica, ed era forse stato il suo periodo migliore, con il 6-2 al Leeds in casa e altre vittorie in rimonta, tutte in trasferta, specialità non casuale della squadra di quest’anno, che nello sviluppare azioni rapide tra difesa e attacco è fluida e ha in Bruno Fernandes l’elemento ideale per trasformare, in campo aperto, un controllo palla in un passaggio decisivo.

Come hanno notato colleghi più bravi e informati di noi, Solskjaer lascia libertà ai suoi giocatori migliori, dopo la riconquista del pallone e la ripartenza, di creare a seconda delle situazioni, e questo rende meno prevedibile l’esito di molto manovre, seppure con la costante Fernandes a cucire. Sta mancando parecchio Paul Pogba, che con il suo passo e i suoi inserimenti aveva contribuito ad alcune di quelle rimonte, e che resta un giocatore capace di cambiare una partita, anche se sempre troppo scriteriato nella gestione di molti palloni.

Criticato anche da alcuni ex grandi dello United ora opinionisti – categoria nel Regno Unito molto incisiva e molto ascoltata, forse troppo – per i costanti cambi di modulo e di uomini, Solskjaer in alcune occasioni ha avuto poca scelta, ma in generale tende al 4-2-3-1 con Shaw-Maguire-Lindelof-Wan Bissaka da sinistra a destra, protetti dalla coppia Fred-McTominay: il brasiliano, davvero indecifrabile nei primi mesi a Old Trafford, ha raggiunto un rendimento perlomeno sufficiente, anche se resta soggetto a esagerazioni agonistiche e non è quasi mai pericoloso al tiro, qualità che ha invece il suo collega scozzese, spesso liberato nei pressi dell’area proprio dalla capacità di Fred (come Maguire, 27 anni compiuti oggi, venerdì 5) di fare un passo indietro a vigilare.

Prima di farsi male, Pogba aveva giocato prevalentemente davanti alla difesa, avanzando però ad affiancare Bruno per proporre agli avversari un fronte difficile da gestire se presenta anche, come accade di solito, tre tra Marcus Rashford (in momento non brillante, protagonista di un litigio verbale con Maguire martedì), Anthony Martial, Mason Greenwood ed Edinson Cavani, uno diversissimo dall’altro per doti tecniche dunque affrontabili con molta attenzione. Pareva dover partire Daniel James, contropiedista smorzatosi dopo il grande inizio dell’estate 2019, mentre è quasi sparito Juan Mata, di solito a destra nel 4-2-3-1, ed è ancora presto per vedere l’ex Atalanta Amad Diallo.

Manca un nome? Manca un nome, quello di Donny Van de Beek, 23 anni, costato 49 milioni di euro l’estate scorsa dopo la breve ma brillante carriera all’Ajax. Finora un solo gol in campionato, nella sconfitta inaugurale in casa contro il Crystal Palace, in 13 presenze, di cui solo due da titolare, per un totale di soli 311 minuti giocati. Non stupisce che tre giorni fa Bert Van Marwijk, allenatore dell’Olanda dal 2008 al 2012, nel suo editorialino sul quotidiano De Telegraafabbia scritto «penso che Donny sia un eccellente calciatore… in grado di prendere le decisioni giuste nonostante la sua giovane età… Ma gioca troppo poco: com’è possibile? Di sicuro non è diventato all’improvviso un giocatore scarso o incapace di gestire quel calcio. Io penso che il problema sia nell’ambiente intorno a lui: il tipo di gioco che lo ha reso così efficace all’Ajax non c’è nello United, non ci sono gli spazi tra centrocampo e difesa avversaria e quando ci sono i suoi compagni di squadra si fanno sfuggire il momento giusto, non leggono con precisione i suoi movimenti. Se gli altri ti trascurano e il tipo di gioco non è in linea con te devi però comunque trovare le risorse. Magari pensare un po’ più a te stesso e mostrare le doti tecniche e tattiche per fare lo stesso la differenza, senza dipendere dagli altri».

Il guaio è che Van de Beek dovrebbe giocare più o meno come gioca e dove gioca Bruno Fernandes, ma al momento non è al suo livello di incisività, e nelle occasioni in cui è stato fatto sistemare più interno, davanti alla difesa, sono mancate le basi per una sua pericolosità negli inserimenti. Che Van Marwijk– certo non il primo che passa – abbia ragione o meno, il dilemma Van de Beek è un altro di quelli da risolvere appena possibile: la stanchezza accertata di Bruno, che ha già giocato 40 partite, potrebbe lasciare spazio all’olandese e consentire allo United di affrontare con maggiore versatilità le prossime partite. Derby, certo, con la speranza di finire in zona Champions League, ma anche il quarto di finale di FA Cup a Leicester domenica 21 e – massì – la doppia di Europa League contro il Milan.

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