Malice at the Palace, Artest contro il pubblico

14 Agosto 2021 di Stefano Olivari

Una delle migliori proposte estive di Netflix è secondo noi Malice at the Palace, disponibile da qualche giorno e facente parte della serie Untold. L’argomento, come intuibile dal titolo, è la gigantesca rissa fra Detroit Pistons e Indiana Pacers avvenuta il 19 novembre 2004 al Palace di Auburn Hills, casa dei Pistons inaugurata nell’era dei Bad Boys e demolita di recente. Una rissa ricordata non tanto per le megasqualifiche ai giocatori, ma perché protagonista per la prima e finora ultima volta nella storia della NBA fu il pubblico: non un pazzo isolato, come sarebbe potuto essere quel tale che lanciò il bicchiere di Coca Cola contro Ron Artest sdraiato sul tavolo dei segnapunti, ma una buona parte del palazzo quando Artest, Stephen Jackson e altri si scagliarono contro quello che ritenevano il colpevole (sbagliando uomo, fra l’altro).

L’antefatto era stata la finale di Conference dell’anno prima, persa dai Pacers fra mille contestazioni, con i Pistons di Larry Brown che poi avrebbero vinto l’anello contro i Lakers. Quel giorno però la partita era stata relativamente tranquilla, dominata dai Pacers allenati da Rick Carlisle, che puntavano senza nascondersi al titolo NBA, e verso la fine Tinsley ebbe la bella idea di aizzare Artest dicendogli qualcosa del tipo ‘Dai, adesso puoi fare un fallo dei tuoi’. Il futuro Metta World Peace, Metta Sandiford-Artest, campione NBA con i Lakers e giocatore di Cantù, questo fallo dei suoi lo fece contro Ben Wallace, non proprio uno che porgeva l’altra guancia. Da lì nacque tutta la rissa fra i giocatori, che però degenerò solo dopo il lancio della Coca da una ventina di file di distanza rispetto al campo.

I fatti sono conosciuti, la reazione della lega di Stern anche (tutta la stagione fuori Artest, 30 partite Jackson, 15 Jermaine O’Neal, solo per citare i provvedimenti principali), e Malice at the Palace  (con ‘Malice’ nell’accezione di ‘cattiveria’) ha il merito di essere centrato sulle versioni dei giocatori dei Pacers, cattivi (furono definiti ‘Thugs’, teppisti) per tutti, anche per i propri tifosi. Artest a distanza di tanti anni non ha ancora capito quanto successo, Jackson ci è sembrato più presente, mentre articolata è la posizione di O’Neal (che ce l’ha con Artest per altri suoi comportamenti). Il problema non furono tanto le conseguenze finanziarie, sportive e legali di quella rissa, alla fine tutti avrebbero proseguito la loro carriera, ma la rottura di un tabù assoluto, cioè quello del pubblico-cliente che ha sempre ragione. Questo al di là della ovvia contrapposizione fra pubblico bianco (nella NBA meno che altrove) e giocatori neri.

Per quale ragione un giocatore dovrebbe prendersi un bicchiere di Coca Cola in testa senza reagire? Può essere il più incapace e cretino del mondo, ma perché non si usa lo stesso metro con un medico che sbaglia una diagnosi, con un giornalista che scrive falsità, con un impiegato disonesto? E non stiamo parlando di casi estremi, di botte, ma anche di ‘normali’ insulti che escono dalla bocca di gente convinta che un palazzetto o uno stadio siano una zona franca, uno sfogatoio per vite ridicole.

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