Basket
Belinelli come Giovinco
Oscar Eleni 18/06/2014
Oscar Eleni fra strumenti di musica barocca cercando le corde che si producono sfuggendo lupi, abbracciando, non ricambiati, gli eremiti nel partco della Maiella, sotto il monte Amaro che ci piace tantissimo adesso che non abbiamo un momento di tregua dal dolore fisico, ossa e muscoli. Non importa. Aperitivo con rospi aspettando l’assegnazione del titolo annunciato dalla classifica dei danè e del lavoro in palestra. Sosta nella vecchia stalla in pietra fra le certezze dell’Emporio campione e la resa incondizionata alla realtà di questa Siena che vedendola davanti al colosso ci ha dato proprio l’impressione da battaglia alle Termopili. Se avevamo dubbi, dicono in tanti cominciando da o professore Carlà, bisogna proprio dire che questo Marco Crespi ha fatto come il figlio del dottor Frankenstein, dando la vita ad una creatura che il fallimento ha privato della parola e del piacere di stare dove è stata per il decennio che ora in troppi fingono di non poter attribuire ad un solo demiurgo che sarà il primo ad ammettere che non ce l’avrebbe fatta se non avesse allevato una bella squadra di gente per allenare, per organizzare.
Sosta premio sull’ippovia che piacerebbe al nostro Federico Nizza dei Due Laghi, maneggiando con cura l’invito per il media day federale del 30 giugno quando verrà “presentata” a Milano, casa Edison, la nazionale maschile che partirà per preparare le sfide frustranti contro Svizzera e Russia in Sardegna pensando al prossimo Europeo che non organizzerà più la povera Ucraina. Finalmente rivedremo anche il Simone Pianigiani che hanno notato affettuosamente in tante Regioni, che ha parlato a tanti giovani allenatori, visto tante nuove promesse, ma difficilmente si è notato sulle tribune dei play off. Lui, come il presidente Petrucci convertito alle rivoluzioni renziane, preferisce il video. Per la verità il nostro sindaco del Circeo a Milano ci è venuto.
Coincidenza con la prima visita pastorale del nuovo presidente di Lega Marino che è andato a visitare, come tutti i suoi predecessori, le antiche scale del giornalismo che dovrebbero sorreggere e proteggere i progetti legaioli. Stesse procedure, andare diritti da chi comanda e poi cercare collaborazione con chi è stato e sarà compagno di viaggio quasi ogni giorno. Irritante. Normale visti i tempi. Stiamo scrivendo in preda ad una crisi di nervi per aver lasciato un oratorio, con bei canestri, dove gli “animatori” proponevano ai ragazzi giochi demenziali, quasi peggio della palla prigioniera. Tempo buttato, sprecato anche dalle federazione che negli oratori dovrebbero fare invasione giornaliera.
Fernando Marino cammina nel Forum ascoltando musica che impedisce di capire cosa sta dicendo. Non si stupisce. Conosce. Lo vedi stringere tante mani, passare tempi anche lunghi con gente che meriterebbe di essere congedata davanti ai locali meno profumati, quasi tutti, del palazzo di Assago. Lo vediamo abbracciare e baciare Proli prima di gara due. Un gesto che dimostra grande affetto. Il presidente di Milano è il suo grande elettore. Certo agli altri associati suonerà qualche campanellino. Sono i tempi delle rivoluzioni nella modernità, tenendo alla larga le nostalgie. Tempo per sostituire gli scudetti con gli anelli, un segreto svelato che ha fatto schiumare di rabbia il creatore. Vuoi mettere. Dall’America bisogna imparare tutto e a Milano lo stanno facendo alla grande. Qualcuno e qualcosa viene calpestato. Pazienza. Persino l’ex ministro Reviglio messo davanti a chi doveva vedere per lavoro, sulle famose sedie Nicholson, ha chiesto scusa, si è spostato di lato, ma per altri è una goduria ballare e danzare, chissenefotte se non vedi. Una palla avvelenata che si passano fotografi ed ospiti. Un esercito. Il basket e i suoi Cartier Bresson. Prima o poi l’onda arriverà in redazioni ululanti per orari che strangolano anche in tempo di mondiale calcistico.
A Marino non siamo stati presentati. Lui aveva ben altre persone da incontrare. Se lo avessero fatto gli avremmo chiesto, prima di sentirci chiedere affetto, spazi, comprensione, appoggio, cantilena babilonese per chi lavora con i legaioli, come pensa di risolvere i problemi più assillanti. Tipo impianti fatiscenti, irregolari come, ad esempio il pala Pentassuglia nella sua Brindisi. Lo farà più avanti, lui come il Landi di Reggio Emilia, amareggiato per non aver avuto la porpora, anche se giura di aver presentato un programma che ha spaventato, parlandoci di quel Pala Bigi che sarebbe stato abbandonato per una finale scudetto visto che era stata così benigna per l’unica coppa europea vinta da una squadra italiana. C’è fermento, diceva il pilota scelto da Salvatores in Mediterraneo quando raccontava ai militi quasi ignoti, “prigionieri” da oltre quattro anni nell’isola greca dove erano andati per osservare e riferire. Speriamo. E’ tempo per nuovi abbracci. E’ anche tempo per risolvere prima i problemi in loco e poi proporsi come risolutore per i problemi degli altri.
A proposito di abbracci. Tutti lo hanno fatto con Marco Belinelli. Dopo avergli detto che a criticarlo erano stati gli altri. No. Qualcuno ha confermato lo scetticismo della scelta. Noi fra quelli. Dopo, quando tornava per Azzurra, non era più il Belinelli che Repesa stava allevando per farlo diventare un campione in tutto, non soltanto capace di tirare bene e altri due anni con lui lo avrebbero presentato completo. Pazienza. Ha vinto. Stupidi gli ansiosi che ancora criticano per costruire, non per distruggere. Anche questo creava disagio. Lui vedeva pregiudizio. In realtà erano facce diverse quelle di Gallinari, ci credeva in Azzurra sapendo anche che un campione amato in casa poteva poi prestare le bella faccia ad ogni iniziativa, certo meglio e in maniera più onorevoile del Costner passato dai lupi al tonno, di Bargnani, credeva ai vantaggi che Azzurra avrebbe dato sul fronte spazioso delle pubblicità progresso, anche se averlo in squadra era come succhiare una vite. Lui, giustamente, sentiva di essere stato messo in concorrenza con i molti che qui sbavavano dicendo, di nascosto: se ci è andato lui nella NBA perché non posso andarci pure io. A Capodistria il meglio, fino allo sfinimento. A Capodistria. Prima?
Figurarsi dire cose del genere adesso che ha vinto l’anello. Certo che non è stato un protagonista. Ma San Antonio era una squadra, ha vinto per la sua multiculturalità, per aver lavorato sempre insieme e quindi tutti caballeros. L’amico che ora naviga su mari mediatici che ci offendono soltanto a sentirli nominare, avendo conosciuto i soggetti, spiega che l’esaltazione per Belinelli campione NBA è come quella per Giovinco tricolore con la Juventus. Magari è così. Noi ricordiamo che qualche partita alla Juventus il nanu l’ha giocata da protagonista.
Comunque sia, speriamo davvero che qualcuno ascolti il grido doloroso del Walter Fuochi che ci vogliono prepensionare, perché la Bologna sportiva di oggi è davvero niente, da troppo tempo. Si fa bella dando il Nettuno a Belinelli, ma in sostanza deve stare a guardare e alla Virtus Bologna non ci sembra davvero che potranno fare tanto meglio dell’ultima stagione. Sassari ha già fatto 4.000 abbonati, se li merita anche se non ci ha sempre convinto e ha lasciato l’idea che abbia buttato via occasioni importanti, dall’Europa al campionato, ma la Virtus cosa promette? Certo, ha vinto con gli under 17. Non esistevano dubbi su quel genio di Sanguettoli che ha mesmerizzato anche Belinelli ai suoi tempi, sul Consolini che dovrebbe essere ascoltato un po’ di più, ma sotto le torri, quella degli Asinelli soprattutto, adesso danno retta soltanto a chi è diventato il garante della gente con la pilla, non tanta, ma sempre pilla. Non ci sono storie legate a questi personaggi che possano qualificarli. Ma sono loro a dirigere. Prima o poi ce la faranno, come dicono a Milano aspettando l’operazione tuono dell’Armani campione d’Italia dopo 18 anni.
Mentre facciamo la valigia per andare ad un raduno di vecchia atletica, dove sarà proibito parlare di tutto ciò che irrita, quindi unico argomento sarà il sapore delle ciliegie della tenuta Barra, registriamo piccole scosse che ci annunciano il malessere.
Eccellenti allenatori delle giovanili, da Varese a Bologna, da Venezia a Roma, sembrano circondati dall’isola del silenzio. Siamo felici che in casa Cimberio abbiano affidato tutto il settore giovanile ad Andrea Meneghin, ma non ci spieghiamo perché Andrea Schiavi, uno che ne ha cresciuti tanti di buoni giocatori, sia stato costretto a congedarsi dall’Elmec Campus Varese. Ce lo spiegheranno con il solito giro di parole: fatevi i fatti vostri. È la nuova legge di chi comanda e quindi gode come se fottesse fottendo tanti altri piccoli umanoidi con l’unico peccato di averlo amato davvero, questo gioco.
Bravo Brugnaro a far sapere che la stagione Reyer non è stata soltanto il flop della serie A. Ora ascolti il suo nuovo allenatore e insieme facciano un buon lavoro.
Siamo sbalorditi, o forse no, per l’uscita dal contratto con Varese del De Nicolao che se cercava un mentore speciale lo avrebbe trovato con Pozzecco il baciantino che al Forum ha davvero abbracciato seimila dei dodicimila presenti, soltanto perché la metà non baciata era troppo lontana da raggiungere. Siamo avviliti che il giovane lettone Silins, svezzato da Reggio Emilia, si sia dichiarato disponibile allescelte NBA. Siamo preoccupati per certi divorzi che si potrebbero verificare fra giocatori italiani di qualità e società che, forse, preferiscono, l’usato sicuro straniero. Noi siamo convinti che se a Sassari avessero preso Stefano Gentile, il Cinciarini di Montegranaro, avrebbero ottenuto di più che da Marques Green.
Si chiude oggi il raduno per la sperimentale che Pianigiani ha affidato a Dalmonte come capo allenatore, Attilio Caja e Lepore come vice. Avremmo voluto andare a vedere come si lavora adesso su questi giovanotti nati fra il ’90 e il ’94. Non ci siamo riusciti. Per certe cose accettavamo le lunghe file puntando sul feduo Pini a Bormio. In Trentino andremo soltanto a casa di Longhi. Manie. Persecuzioni della mente.
Sul monitor arrivano tanti messaggi per la festa organizzata bene da Mabel Bocchi e dalle ragazze di Savona per i 94 anni di Pagnini. Si è commosso persino il presidente Petrucci che ha lasciato subito il ring illuminato della finale scudetto per raggiungere Ricchini e le ragazze di Azzurra impegnate nella difficile battaglia di una qualificazione europea che potrebbe anche sfuggire.
Al Forum abbiamo visto, salutare è impossibile, il capo degli arbitri Facchini godersi le sue terne da scudetto. Vicino a lui, non accanto, il Grotti che dovrebbe tornare fra i consiglieri ascoltati. Petto in fuori, faccia di chi sa che tu sai, ma non puoi fare niente. Vero. È la stessa faccia di quelli che ti dicono io sono io e voi non siete un cazzo. Una volta avremmo reagito diversamente. Però avevamo anche la barricata e le munizioni. Adesso siamo vittime di qualsiasi cecchino, anche di chi deve sempre passare da papà per avere i soldini e poi inventarsi ciò che era stato già inventato.
Siamo sul criptico? Certo. Questa è gente vendicativa. Loro, purtroppo, capiranno, o forse no, noi ci difenderemo in tutti i modi, a prescindere. Podemos, dice il giovane astro politico spagnolo abbracciando il vecchio miliziano della guerra nel 1936.
A proposito di arbitri, chissà come hanno preso la noticina dell’illustre maestro Gamba sulle terne mai complete, mai all’altezza. Petrucci si irrita se chiedi certe spiegazioni: “Sorteggio integrale, visto coi miei occhi”. Ce lo diceva una zia turca, imparentata con Sahin, di non credere mai al gioco e ai sorteggi. Ti rovini.