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L’Unità, fondata da Gramsci e pagata da chi non la legge

Stefano Olivari 10/11/2015

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L’Unità, una grande storia italiana. Decenni di propaganda di partito pagati alla fine dai contribuenti: una sassata da quasi 110 milioni di euro di debito, che potrebbero diventare 130 e andare ad aggiungersi alle decine di milioni del finanziamento pubblico. In totale questo giochetto per comunisti, spesso usato per regolamenti di conti interni al partito, è costato, a contribuenti comunisti ma soprattutto ‘non’, come minimo di 250 milioni di euro (sommando il finanziamento). La storia, nota perché materializzatasi attraverso leggi dello Stato, è meravigliosa e già dallo scorso giugno (quando l’Unità è tornata in edicola, come se niente fosse, con un nuovo assetto societario ma sempre controllata dal PD) costituisce uno scandalo. La novità è che, secondo il Corriere della Sera, il Governo avrebbe deciso di pagare i debiti della vecchia Unità dopo una lunghissima battaglia legale, evidentemente persa dall’Avvocatura dello Stato.

Senza risalire a Gramsci andiamo più modestamente a Veltroni, quindi al 2008, quando l’allora segretario del PD (ed ex direttore dell’Unità, sua l’idea di allegare i vecchi album Panini) cerca di scaricare l’onere del giornale su imprenditori considerati di sinistra. La scelta cade su Renato Soru, il signor Tiscali, che da bravo imprenditore di sinistra desidera scaricare i danni della sua incapacità sullo Stato. Arriva quindi una legge che riguarda tutti i giornali di partito, ma principalmente l’Unità che è quello a ricevere più contributi (anche perché è l’unico con lettori veri), che pur essendo scritta in italiese è in un punto abbastanza chiara: “La garanzia concessa a carico dello Stato applicata per capitale, interessi anche di mora e indennizzi contrattuali, è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario”. In sostanza se l’editore-politico non riesce a far fronte ai suoi debiti, i creditori possono rivalersi sullo Stato.

Come è possibile che un partito come il PD, erede diretto di PCI, PDS e DS, con un patrimonio immobiliare e non solo immobiliare valutato mezzo miliardo di euro, non abbia contribuito a ripagare questo debito? Nonostante Renzi, bisogna sottolineare, abbia cercato di farlo. In questo bloccato dalla furbizia del vecchio tesoriere dei DS, Sposetti, che poco prima della trasformazione in PD divise il patrimonio in una molteplicità di fondazioni, tutte facenti capo a federazioni provinciali o a enti locali. Operazione di cui si è anche vantato, manco fosse un notaio di Lugano invece di un senatore italiano. In altre parole, non è realmente chiaro chi controlli questi soldi visto che i DS non esistono più e Renzi non riesce a metterci sopra le mani né come presidente del Consiglio né come segretario del PD. Rimane il fatto che l’Unità sia stata pagata da chi non la legge e che potrebbe essere così, al pari di altri giornali di partito (questi davvero clandestini), anche in futuro. Non possiamo quindi nemmeno augurarci il suo fallimento.

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