Liverpool-Everton, i problemi di Klopp e Ancelotti

20 Febbraio 2021 di Roberto Gotta

Liverpool-Everton, ovvero la sesta contro la settima di Premier League: chi l’avrebbe mai detto, a questo punto della stagione? L’innamoramento adolescenzial-estivo e i suoi danni. La passione, la proiezione delle speranze, l’incapacità di vedere i difetti altrui o la convinzione di poterli ignorare. Poi, a settembre, torna la scuola e la realtà allunga il ceffone, l’utopia comincia a sfaldarsi e magari confessi all’amico o all’amica che insomma tutto quello che era parso splendido in estate non era poi così reale. Versione calcistica: l’amico o l’amica, nel caso specifico di James Rodriguez, ne riferiscono al sito web Defensa Central (Difensore Centrale), testata dedicata al Real Madrid ma con sede a… Barcellona, che esce quindi con la rivelazione che l’attaccante colombiano sarebbe (già) stanco del clima e dello stile di vita britannico e della fisicità della Premier League, e starebbe meditando un ritorno a Madrid, ma con l’Atlético. In salsa moderna, il classico ‘scrivono in Spagna’, che in passato spesso voleva semplicemente dire che al collega spagnolo veniva suggerito quel che in patria non era pubblicabile, per poi riprenderlo.

Carlo Ancelotti ha smentito, e altro non poteva fare: ‘Lo sappiamo che il tempo non è dei migliori’, la battuta per far sorridere e riflettere, ma il problema è serio, anche perché emerso nella settimana che porta al derby di ritorno. Quella della seconda sconfitta consecutiva dell’Everton in casa, la sesta in 12 partite: e se perdere contro il Manchester City, mercoledì, è stato quasi naturale, visti gli avversari e lo sviluppo della partita, farlo domenica scorsa contro il Fulham è stato molto più doloroso e rivelatore dei difetti della squadra.

Che era partita benissimo a settembre, nell’innamoramento collettivo e ingenuo, ma comprensibile, per il James da tre gol nelle prime quattro partite: iniziando da attaccante esterno di destra nel 4-3-3, per accentrarsi e tirare o suggerire, con la brillantezza del Dominic Calvert-Lewin autunnale e una squadra che in generale pareva rinvigorita non solo dalla brillantezza di James ma anche dalla regolarità di Allan in mezzo al campo e dalla corsa solida di Abdoulayé Doucouré nel ruolo di mezzala destra. Un Doucouré che lo scorso anno era stato molto efficace, come trequartista, nel Watford poi retrocesso, ma che nell’Everton praticamente mai ha potuto galleggiare in quel ruolo, del resto esistente solo in modo saltuario e proprio per le incursioni di James.

Dopo qualche settimana, però, erano iniziate le difficoltà e proprio il 2-2 con il Liverpool per certi versi è stato un punto di sterzata: prima partita non vinta, l’espulsione di Richarlison per un brutto fallo su Thiago Alcantara, le quattro sconfitte nelle cinque uscite successive, l’infortunio di Lucas Digne (che nonostante le otto gare saltate su 23 è tuttora il migliore dei Toffees negli assist con sei, il doppio di James), quello di James, le incertezze del portiere Jordan Pickford, che in quel derby aveva causato pure la svolta della situazione del Liverpool, ma lì ci arriviamo tra poco.

Insomma, quel che girava bene all’inizio gira molto meno, anche al netto della prudenza che molti, razionalmente, in quel periodo mettevano in pratica. Si percepiva ad esempio la poca profondità della rosa tra gli attaccanti: non è stata mai trovata l’alternativa a Calvert-Lewin, che aveva iniziato la stagione correndo e segnando come un disperato, e con una gioia raramente vista prima. Nel suo momento migliore il centravanti cresciuto a Sheffield aveva pure fatto la figura del gentiluomo quando, salutando il Ct inglese Gareth Southgate nel giorno della sua prima convocazione, si era tolto la coppola, gesto che a Southgate non è sfuggito, perché inedito in un giovane. A testimoniare che nella scuola Everton in genere si cresce bene, e pazienza se nessuno è ancora riuscito a togliere a Richarlison la perenne aria imbronciata.

Insomma, una differenza reti risicata, solo +2, frutto del secondo minor numero di gol segnati (35, l’Arsenal è a 31)e del maggior numero di quelli subiti tra le prime dieci della classifica (33). Alla fine non sorprende che la partenza rapida si sia frenata: e la minore influenza di James ha certamente influito, costringendo Ancelotti a modificare l’assetto. Contro il Fulham, Rodriguez c’era e ha giocato con Richarlison in un duo di attacco un po’ particolare, supportato da Gylfi Sigurdsson nel ruolo di trequartista, con apertura dei tre a coprire il fronte d’attacco in fase difensiva. Contro il City James non c’era, e l’Everton ha utilizzato un 4-4-1-1 particolare, con Digne ala sinistra, Alex Iwobi (ancora) sulla destra e Sigurdsson a spalleggiare Richarlison. In mezzo, Tom Davies e Doucouré, a prendere a uomo le due mezzali avversarie, compito estremamente difficile visto che Phil Foden e Bernardo Silva sparivano e ricomparivano ovunque, come accade nelle migliori versioni del City. James era in panchina, tenuto lì per un piccolo problema fisico in vista del ritorno da titolare nel derby.

Il guaio di tutto questo è che l’Everton, al primo anno completo con Ancelotti, doveva mostrare di essere cresciuto su più fronti, anche per giustificare il cambio di filosofia che l’arrivo di James, Allan e Doucouré ha significato rispetto alla scelta precedente di puntare su giocatori sotto i 25 anni, da sviluppare e non solo da accompagnare verso fine carriera. In questo momento, che Defensa Central dica la verità o meno, tutto questo non è avvenuto, e rischiano di invecchiare precocemente le considerazioni poco lusinghiere che ai primi di ottobre si facevano, in Inghilterra, sul Manchester United, su Alex Ferguson e sui suoi osservatori: che nel 2010 avevano scritto, di James, «Non è veloce quanto ci serve, rischia di fare fatica nell’intensità agonistica del calcio inglese e forse non è adatto all’Inghilterra». Chissà, forse avevano invece ragione loro, a dispetto del grande talento di James, e della gioia che dà a chi lo vede giocare come sa, quando lo fa.

Derby, si diceva. E quel discorso di Pickford. L’uscita senza freni su Virgil Van Dijk aveva causato la rottura del crociato anteriore al difensore, togliendolo dai giochi per tutta la stagione, e l’effetto domino si vede tuttora. Con gli infortuni successivi di Joel Matip e Joe Gomez, infatti, Jürgen Klopp ha dovuto utilizzare in mezzo alla difesa centrocampisti come Fabinho e Jordan Henderson. Che ovviamente sono stati sottratti al proprio reparto, in cui Thiago, dopo un ottimo inizio, ha perso partite e smalto. Van Dijk, nonostante un calo negli ultimi mesi del 2019-20, aveva dominato la scena con la sua intelligenza, le sue chiusure, i suoi recuperi, il senso della posizione e il lancio lungo, che spesso innescava rovesciamenti rapidi di fronte. La sua sicurezza (unita ai recuperi rapidi di Gomez) permetteva a Andy Robertson e Trent Alexander-Arnold di avanzare e dominare le fasce, come richiesto dal gioco di Klopp (per lui, i terzini sono addirittura i quarterback della squadra, per la loro importanza): e invece, dopo 24 partite, i due hanno quest’anno otto assist totali, una media che dimezzerebbe i 25 del 2019-20.

Per assurdo, pur dominando la stagione scorsa come poche squadre hanno fatto nella storia, il Liverpool alcune partite le aveva vinte con lampi finali di alcuni dei suoi giocatori di maggior talento, e se in uno scorcio ormai prolungato molti di loro sono infortunati è difficile che l’effetto non si senta. Anche perché non è che nel frattempo siano arrivati colleghi decisivi: di Thiago si è già detto, Costas Tsimikas sulla fascia sinistra in pratica non si è visto, Takumi Minamino è in prestito al Southampton un anno dopo essere arrivato dal Lipsia stesso e non aver lasciato traccia, e il vero, grande acquisto, Diogo Jota, preso proprio per evitare una eccessiva caduta di talento al di fuori del trio Mané-Firmino-Salah, dopo un inizio fulminante ha potuto giocare poco, per infortunio pure lui. Nella partita di Budapest contro il Lipsia il migliore è stato Ozan Kabak, che tre giorni prima era parso sperduto – comprensibilmente – nel debutto da titolare a Leicester accanto ad Henderson, 17esima diversa combinazione di centrali difensivi usata da Klopp da settembre: con una costruzione di reparto in corsa, priva delle ripetizioni di esercizi in allenamento, è naturale essere spaesati e dover ricorrere, come a Budapest, a risorse individuali più che coreografate.

Ecco perché è un derby che colpisce: tre sconfitte nelle ultime cinque di campionato per entrambe, ma nel caso del Liverpool sono tre consecutive, con due gol segnati e otto subiti. Subito dopo due belle vittorie per 3-1, a Londra contro Tottenham e West Ham e dando l’impressione che la ripresa fosse partita. Sbagliato.

Share this article