L’estate di Ganz e Rambert

15 Novembre 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

Il ritorno del vecchio Moratti, il piccolo sparo di Beretta, la Triade di papà, la scoperta di Zamparini.

1. Se Vittorio Pozzo ed Ernst Happel uscissero dalla tomba e venissero ingaggiati per guidare l’Inter, probabilmente non avrebbero nemmeno messi insieme la personalità necessaria per salvare una stagione condizionata come non mai da quello che è stato vinto (e come) in quella precedente. Forse però punterebbero su una preparazione atletica meno intensa di quella ideata da Francisco De Miguel, perché per ragazzi come Joel Obi i discorsi su logorio, motivazioni, Mondiale, eccetera, valgono davvero poco. Di sicuro in questo adagiarsi della squadra nerazzurra non si sente solo la mano dell’allenatore, diversa non per competenza ma come durezza da quella di Mourinho (che a costo di sbagliare mosse e di provocare scientificamente cerca sempre di cambiare le partite e mai di subirle) ma soprattutto quella di un Moratti tornato ad essere sul piano pubblico il Moratti pre Calciopoli. Un po’ tifoso, un po’ amico di giocatori (non si sentivano sue critiche ufficiali all’allenatore dai tempi di Tardelli) che se ne approfittano, molto primattore desideroso di recuperare la scena. E quindi, in sintesi, delegittimatore del lavoro dell’allenatore e delle sue scelte. A questo va sommato il peggior calciomercato interista dall’anno di Ganz e Rambert, proprio quando invece di ribaltoni sarebbero serviti due innesti di qualità e magari il recupero umano di Balotelli. Se il cattivo era Mourinho, perché via Mourinho il più grande talento giovane del calcio italiano è stato ceduto ad un prezzo (21 milioni di euro e rotti) che è pari a due anni lordi di ingaggio di un giocatore al capolinea come Milito? Come accade sempre, tranne che nei casi di presidenti di provincia senza nemmeno uno straccio di giornale, il colpevole è l’allenatore. Il quale, come insegna il Milan 2007-2008 (non a caso dopo una Champions vinta, in finale proprio sul Liverpool di Benitez), può dare un senso alla stagione vincendo la coppa dell’amicizia di dicembre e ripetendo in maniera autistica per sei mesi ‘Siamo campioni del mondo, siamo campioni del mondo, siamo campioni del mondo’. Però la gente è spesso (non sempre) meno stupida di chi la dovrebbe informare: sa cosa contino campionato e Champions rispetto a tutto il resto. Nel primo caso i danni potrebbero essere limitati dal ciapanò generalizzato, nel secondo si entra in zona Benitez. Solo che i muscolari dei tempi di Liverpool i muscoli li avevano a posto.

2. Non scommetteremmo sullo sciopero dei calciatori una volta passato il periodo protetto (fino al 30 novembre): in qualche modo si troverà un compromesso sui fuori rosa, per i quali ogni situazione fa storia a sé, mentre si rimanderà al futuro la battaglia vera sui trasferimenti coatti. La NBA o la prendi tutta, mettendo ad esempio nel pacchetto anche la possibilità che il Bari scelga i giocatori migliori, oppure fai fino in fondo l’italiano. Scommetteremmo invece sul solito circo che si scatenerà contro l’Associazione Calciatori e sui ‘miliardari’ che tolgono a quella brava gente degli italiani il pretesto domenicale per liberarsi della famiglia e soprattutto per non pensare. Può essere utile ricordare che è stata la Lega di Beretta (nel senso che Beretta ci mette la faccia e poco altro) a rifiutare la proposta della Figc di tenere fuori dalla contrattazione i due punti controversi e di chiudere l’accordo collettivo in qualche modo. Ed è ancora più scontato osservare che nessuno obbliga i presidenti a firmare contratti pluriennali e ad ‘adeguarli’ a tre o quattro anni dalla scadenza (è quanto avvenuto con Milito e Sneijder all’Inter, tanto per fare due esempi concreti), scoprendo poi che le spese sono fuori controllo. E non abbiamo toccato l’argomento ‘nero’, che nel calcio italiano a tutti i livelli sta iniziando a scarseggiare (l’anno scorso un attaccante di Eccellenza ha chiesto uno stipendio di seimila euro al mese), visto come sta andando l’economia reale. Il futuro, negli stati dove il crimine finanziario è tollerato, sarà tutto lì. Perché potremo mettere tutti i salary cap del mondo ed avere bilanci stra-certificati, ma senza sanzioni giuridiche e soprattutto sociali (mancando quelle può capitare che il Moggi della situazione impartisca lezioni a tutti) la legge sarà sempre quella del più furbo.

3. Un aiuto di Stato tira l’altro. Non più capaci di produrre modelli di auto nuovi, gli Agnelli cercano di recuperare gli scudetti vecchi. Questa in estrema sintesi la politica del presidente della Juventus Andrea, che è consapevole del fatto che la sua Juventus sia ancora lontana dagli scudetti del presente e quindi cerca almeno di recuperare quelli del passato. Missione tecnicamente proibita sia nel caso del 2005 che del 2006 (mentre è teoricamente possibile che quello assegnato sia tolto all’Inter), secondo la quasi totalità dei giuristi della domenica (noi ci arrendiamo), ma l’importante è farsi vedere attivi da 10 milioni di tifosi. Però il ritiro della querela contro Giraudo, Moggi e Bettega ha poco a che vedere con Calciopoli, anzi niente. La querela riguardava il procedimento della Procura di Torino in merito ai bilanci degli ultimi cinque anni di Triade. La solita, nel senso di comune a tutto il calcio professionistico italiano, storia di plusvalenze e di aggiustamenti ai confini della legalità. Rapportata a una realtà marcia è poca cosa, ma il senso dell’operazione-perdono è evidentemente un altro: la conferma della stima a quelli che erano stati gli uomini scelti da suo padre nel 1994 per far tornare grande la Juventus.Solo al novanta per cento della stampa italiana è infatti sfuggito che se i dirigenti di un’azienda rubano è difficile che chi li ha nominati non lo sappia, così Andrea Agnelli ha solo voluto difendere una memoria familiare prima ancora che i titoli sportivi (comunque svalutati, anche quelli rimasti). Poi c’è il presente. Con un Giraudo pronto a tornare, un Moggi che dal calcio italiano non è mai uscito ma che ormai si muove per suo conto e gira intorno al Milan, un Bettega che alla fine ha paradossalmente pagato la sua juventinità: i mesi come consulente nel dopo Calcopoli e il ritorno con Blanc sono state scelte di uno che sentiva la Juventus dentro, mentre il vecchio ultrà granata Giraudo e l’interista (!) Moggi hanno sempre trattato la materia come un lavoro.

4. Maurizio Zamparini ha scoperto che in Italia lo scudetto lo possono vincere solo quelle poche squadre. E le mutate dimensioni economiche del calcio rendono impossibili inserimenti (ingiusto chiamarli miracoli) come quelli del Cagliari o del Verona, squadre che rapportate al mondo di oggi erano (soprattutto il Verona, perchè nel Cagliari 1969-70 c’era un terzo della Nazionale azzurra) paragonabili alla Lazio di Lotito. Il presidente del Palermo ha comunicato di voler vendere la società, deluso non solo per l’arbitraggio contro il Milan ma per come il sistema (che comprende anche i giornalisti) considera gli sforzi di chi prova a fare il salto di qualità. Finché sei la provinciale simpatica va bene, puoi anche ambire ad un posto in Europa League prima di alzare gli ingaggi e fallire, ma quando provi a salire ci sono muri insormontabili. Che i giocatori ben conoscono, tanto che quelli che vogliono alzare qualche trofeo prima o poi se ne vanno. Se il moggismo disegnava (o per meglio dire designava) i rapporti interni fra quelle poche squadre e Calciopoli questo rapporto l’ha ridisegnato, tutte le società che stavano fuori dalle mura sono rimaste fuori dalle mura. Su tutte vale la considerazione del 75%, cioè che tre quarti degli italiani tifano per tre squadre con tutte le conseguenze commerciali e televisive (solo parzialmente ammorbidite dalla vendita congiunta dei dir
itti, che all’atto pratico non ha cambiato i rapporti di forza nella distribuzione) del caso. E’ difficile nel 2010 spiegare a un bambino di Palermo perché dovrebbe tifare per una squadra che non potrà vincere mai, nemmeno se arrivasse lo sceicco della situazione. Perchè sulle spese senza controllo si fa molta demagogia, ma la verità è che nel calcio italiano nemmeno i soldi bastano a raggiungere quei pochi posti al sole. In Premier League quando lo sceicco arriva i rapporti di forza cambiano in pochi anni: basti pensare, al di là delle vittorie, alla differenza fra il Chelsea di Abramovich e quello pur di buon livello che lo ha preceduto. In definitiva non crediamo che il liquido (non a caso uno dei pochi in A che paghi regolarmente gli stipendi) Zamparini voglia lasciare il calcio ma solo far riflettere sulla giustizia e sulle giustezza di un sistema. Forse sta solo meditando di cambiare cavallo, come a suo tempo passò dal Venezia al Palermo sognando il Napoli. Ricordandosi che il Parma di Buffon, Thuram, Cannavaro, Veron, Chiesa, Crespo, eccetera, tutti al top della carriera e con un presidente di certo non lontano dalla politica e dalle grandi banche, allo scudetto non andò mai nemmeno vicino.

(articoli pubblicati sul Guerin Sportivo web)

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