L’anno di Pippo Marchioro

21 Settembre 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari 
Il Cesena da Uefa, pagando Beckham, la famosa clausola di Balotelli, l’asta di Nobby Stiles e undici stagioni che rimpiangeremo.

1. Il Cesena in testa alla classifica di A riporta alla mente l’epopea del Cesena anni Settanta costruito con pazienza e competenza da Dino Manuzzi: un presidente che capì prima di molti altri che la provincia poteva rappresentare una ricchezza e non un alibi per giustificare la sudditanza verso le grandi tradizionali. Imprenditore nel settore agricolo, Manuzzi rilevò il club dal conte Rognoni (fondatore del club, fra l’altro) nel 1964 e dopo qualche anno fra B e C approdò in A (1973) con in panchina un Gigi Radice che tre stagioni più tardi avrebbe vinto lo scudetto con il Torino.Da Radice la panchina passò ad Eugenio Bersellini, altro emergente che di lì a qualche anno avrebbe vinto anche lui lo scudetto (Inter 1979-80) e poi a Pippo Marchioro con il quale il Cesena visse la sua stagione di maggior gloria. Nel 1975-76 infatti i bianconeri arrivarono sesti, qualificandosi per la Coppa Uefa. Era la squadra dei romagnoli ma anche dell’usato sicuro, con Manuzzi che intuì le motivazioni di campioni come Cera (dal Cagliari) e Frustalupi (dalla Lazio). Marchioro la fece giocare a zona, all’epoca quasi un’eresia, ma con il libero (Cera) staccato, trasformando ogni allenamento in uno spettacolo: fra il training autogeno (il migliore in materia era il portiere e futuro medico Lamberto Boranga) e la musica classica, uniti ad essercizi ispirati a quelli del grande Ajax di qualche anno prima. Con i gol, non tanti, di Urban e Bertarelli il miracolo diventò realtà. Marchioro andò poi a giocarsi (male, esonerato alla fine del girone di andata) la chance della vita al Milan e allenatore diventò Giulio Corsini: una memorabile doppia sfida con il Magdeburgo e l’eliminazione dalla Uefa, seguita da una retrocessione in B e da un graduale disimpegno di Manuzzi che nel 1979 avrebbe passato il testimone al nipote non ancora mito di Mai Dire Gol Edmeo Lugaresi. Un altro dal grande occhio visto che sulla panchina del suo Cesena si sedettero, ben prima di arrivare in alto, Osvaldo Bagnoli, Albertino Bigon e Marcello Lippi.
2. Cinque anni fa la produzione di una trasmissione di varietà Mediaset mandò un fax all’agente di David Beckham, all’epoca al Real Madrid, per averlo dieci minuti in trasmissione con l’unica incombenza di sorridere di fronte agli scherzi (al solito poco divertenti) del comico di turno. L’offerta era esattamente di 800.000 (ottocentomila) euro. Ma i consulenti di Beckham nemmeno la presero in considerazione, tanto era piena l’agenda di comparsate e ospitate varie. Nel 2010 il mercato televisivo è molto cambiato, complice anche la crisi che ha fatto crollare sponsorizzazioni e dintorni. Insomma, Lele Mora e i suoi imitatori potrebbero tranquillamente confermare che a parità di trasmissione e di popolarità del personaggio i cachet sono rispetto al 2005 diminuiti di almeno il 30%. Però sabato sera Beckham era a ‘C’è posta per te’ su Canale 5, ben disposto ad interagire con l’inevitabile caso umano scovato dalla redazione di Maria De Filippi. A pochi giorni dal suo ritorno in campo dopo l’operazione al tendine d’Achille (l’11 settembre, sostituendo Juninho a 20′ dalla fine della partita fra Galaxy e Columbus Crew), Beckham si è quindi sobbarcato un volo transoceanico per meno soldi di quelli che avrebbe incassato cinque anni fa per un facile Madrid-Milano. Escludendo un impoverimento, visto che secondo la stima più recente il patrimonio familiare si aggira sui 160 milioni di euro, non è azzardato pensare ad una mossa di pubbliche relazioni nei confronti del mondo Milan. Difficile che l’attacco atomico possa funzionare con un trentacinquenne a sostegno (ma Pirlo, Ambrosini, Gattuso e soprattutto Seedorf sono anche loro in vista del traguardo), ma non si sa mai. Il contratto con i Galaxy scade nel 2012 e al di là del ricongiungimento familiare il possibile prestito al West Ham non entusiasma.Quello che è certo è che la disponibilità, anche pay, dei campioni è molto diversa nelle varie fasi della carriera.
3. E’ molto raro che un giornalista, anche se si occupa abitualmente di calciomercato, riesca materialmente ad avere in mano la fotocopia di uno dei mille contratti di cui parla. Possono essere credibili le cifre lorde, soprattutto per le società quotate in Borsa che hanno l’obbligo di comunicarle, ma è praticamente impossibile ricostruire accordi collaterali (i famosi diritti di immagine, anche per chi non ha immagine) e tanto meno patti particolari che di solito vengono formalizzati con scritture private depositate presso un notaio. La famosa clausola del contratto di cessione di Balotelli dall’Inter al Manchester City, quella che avrebbe impedito in caso di ritorno in Italia l’approdo al Milan di cui è tanto tifoso, ammesso che esistesse non poteva quindi essere stata inserita nel contratto. Anche per motivi legali, visto che i trasferimenti dopo una cessione definitiva non possono essere sottoposti a vincoli (al massimo a royalty, come quelli futuri di Cassano a beneficio del Real Madrid). Il bello è che questa clausola, di cui si è parlato tutta l’estate per non far passare Moratti come un ingenuo o peggio, semplicemente non esiste. Lo ha confessato lo stesso Balotelli in un’intervista a Radio Dee Jay, durante la quale ha sganciato bombe con la leggerezza dei suoi 20 anni (”Mourinho mi voleva al Real” e altre) ma soprattutto ha ribadito che la prospettiva rossonera fra qualche tempo sarà tutt’altro che fantacalcio. Di sicuro non sarà impossibile dal punto di vista contrattuale, sceicco del City permettendo. Alla fine queste clausole (Kakà ha una clausola anti-Inter? No di certo) sono un po’ come le mitiche ‘opzioni’ su Cruijff e Platini negli anni Settanta, quando le frontiere erano chiuse: robaccia per tenere calmi i tifosi e non far passare per incapaci i dirigenti.
4. Nobby Stiles vende tutto, fra questo tutto ci sono anche le medaglie di campione del mondo 1966 con l’Inghilterra e quella di vincitore della Coppa dei Campioni 1968 con il Manchester United. Il sesssantottenne ex centrocampista non ha particolare bisogno di soldi, ma semplicemente vuole liberarsi di memorabilia il cui ricavato potrebbe far vivere meglio lui e la famiglia: il 27 ottobre (in una casa d’aste di Glasgow) dai 45 lotti di medaglie, coppe, maglie, autografi, documenti, eccetera, pensa di ricavare l’equivalente di 500mila euro. Un’idea ambiziosa, visto che non stiamo parlando di Pelé o Cruijff, ma non folle. La sola medaglia mondiale è valutata sul mercato del collezionismo circa 200mila euro. Fra gli oggetti di culto la maglia (blu) che nel 1968 il Manchester United indossò contro il Benfica e la maglia (rossa) della finale mondiale di…Alan Ball, avuta dopo aver vinto una scommessa con lo stesso Ball. Questa potrebbe essere una notizia triste, ma non lo è per Stiles. Che a giugno ha avuto un infarto e che ha spiegato così la sua decisione: ”Volevo lasciare la mia collezione ai miei tre figli, ma preferisco non fare torti a nessuno. Meglio che si tengano pezzi che hanno un grande valore affettivo ma che non hanno mercato e che possano beneficiare dei soldi incassati dagli altri”. La nostra morale, da Esopo dei poveri (quindi Fedro), è che liberarsi del passato fa respirare meglio. Anche quando il passato è glorioso. 

5. Il mezzo disastro delle italiane nell’ultimo giovedì di Europa League ha improvvisamente reso importante questa competizione, accendendo il solito dibattito sul declino del nostro calcio. Partito dalla mancata qualificazione al Mondiale del 1958, quindi adesso dovremmo essere più o meno al livello delle Isole Marshall. L’altra faccia della medaglia è che nel decennio d’oro, per le italiane in Coppa Uefa, sembrava che quest
a manifestazione contasse pochissimo e che arrivare in fondo fosse quasi un atto dovuto. Non era così, ma lo sappiamo con certezza solo adesso. Dalla stagione 1988-89, la prima con il terzo straniero, a quella 1998-99 quando ormai i cancelli erano stati aperti da Bosman (e da chi gli stava dietro): undici stagioni con otto (!) vittorie italiane (tre volte Inter, due volte Juventus e Parma, una Napoli) nella Coppa Uefa antenata dell’Europa League e sei presenze da finaliste sconfitte (Fiorentina, Roma, Torino, Juventus, Inter e Lazio) , un bilancio da dominatori del calcio mondiale che all’epoca non fu adeguatamente apprezzato. Onore postumo quindi alle prodezze di Maradona e di tutti gli altri, ricordando un dettaglio non trascurabile: fino alla stagione 1996-97 compresa la partecipazione alla Coppa Campioni-Champions League era riservata solo ai campioni nazionali. Altri tempi, di sicuro da rivalutare fra un processo a Delneri e uno a Mazzarri. Perchè la verità è che le italiane stanno andando male in un contesto di qualità evidentemente minore rispetto a quello degli anni Novanta.
Stefano Olivari
(articoli già pubblicati sul Guerin Sportivo)

Share this article