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Atletica

La primavera di Praga

Stefano Olivari 09/03/2015

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L’Italia dell’atletica a Praga ha fatto il massimo possibile, anzi di più, con due medaglie ipotizzabili alla vigilia ed una invece letteralmente trovata. Prima medaglia internazionale non giovanile per Alessia Trost, un argento che sarebbe stato oro se la più agonista Kuchina non avesse chiesto lo spareggio (assurdo comunque che il regolamento non sia chiaro), prima medaglia internazionale non giovanile per una Federica Del Buono lontana dalla migliore versione di se stessa, ma perfetta tatticamente nel non farsi strangolare dall’allungo dell’olandese (si fa per dire) Hassan e a conquistare un bronzo pesantissimo, prima medaglia internazionale (senza considerare i Giochi del Mediterraneo) in assoluto per Silvano Chesani, argento in una gara un po’ al ribasso, di quelle che a volte il salto in alto regala nelle grandi competizioni (discorso in parte applicabile anche alle donne): per l’oro avrebbe dovuto fare il primato italiano a 2,34, misura che hanno in canna sia lui che Fassinotti. Ma quasi tutta la squadra azzurra ha fatto il suo: Tumi quarto nei 60 metri, la Alloh a due centesimi dalla finale con il terzo tempo italiano di sempre dopo quelli di Marisa Masullo e Manuela Levorato, la Viola buona nei 3.000. Considerando che a casa non sono stati lasciati tanti fenomeni (ambizioni potevano averle soltanto Fassinotti o un Donato tirato a lucido, mentre purtroppo Greco è fermo), bisogna elogiare  chi ha dato il massimo senza mettersi a fare paragoni impossibili e comunque sempre da asteriscare per i noti motivi. Poi il decimo posto nella classifica a punti, quella che tiene conto dei finalisti ed è più credibile del cosiddetto medagliere, non è all’altezza di un paese con 60 milioni di abitanti pieno di immigrati e di atleti mantenuti dallo Stato, ma non è colpa di chi c’era e ha fatto il suo dovere. La gara che ha più emozionato il pubblico ma anche noi a casa è stata quella dei 1.500, con la strepitosa rimonta in progressione di Holusa su Ozbilen, mentre quella che probabilmente resterà sono i 60 metri della meravigliosa Dafne Schippers, summa filosofica del concetto di ‘ragazzona’, in una distanza dove la sua struttura la dovrebbe in teoria penalizzare: nei 100 all’aperto è difficile fare previsioni, ma nei 200 se non si farà male (e rinuncerà all’eptathlon) una medaglia olimpica a Rio non gliela leverà nessuno. Grande la staffetta belga dei Borlée (i due gemelli, il terzo fratello più Watrin in prima frazione), che ha scritto una bellissima pagina di sport e chiuso degnamente una manifestazione che ha dato un’immagine positiva dell’atletica indoor, ben diversa dalla consueta ghiacciaia.

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