Basket
La nuova camicia di Pozzecco
Oscar Eleni 15/06/2020
Oscar Eleni sulla sabbia bianca di una misteriosa isola giapponese, nella prefettura di Okinawa, per sapere cosa ne pensano della centesima replica in TV della guerra infame all’americana, dove, ieri come oggi, è tutto uno spararsi addosso sapendo che i buoni non sono sempre i vincitori. Eppure sentirete ancora gente che preferisce il bullo di oggi alla Casa Bianca a Barack Obama, uno che il basket lo ama davvero, anche se pure lui, forse, avrebbe ceduto al progetto Disneyland.
Il basket europeo non ci ha creduto, niente Parigi, figurarsi quello italiano che non aveva campi a Gardaland. Qui da noi si ritrova il sorriso con i 14 milioni per le dirette del calcio in coppa Italia, chi se ne fotte del resto, società sportive vere oltre la canna del gas, fra uno stato generale e l’altro, attenti ai lupi del posteggio in terza fila di chi giustifica ogni trasgressione con l’importanza del lavoro da sbrigare in fretta, attenti ai nuovi lupetti in monopattino, strisciando lungo i muri perché cicli e motocicli non ne potevano più di farti il pelo, come il parrucchiere che ha aumentato subito i prezzi e non sa che ogni ora ci chiedono un obolo per associazioni che dovrebbero combattere sostenute dalla stato e non mandando in video gente disperata.
Mentre vieni silenziosamente sostituito nella casa che era stata tua per più di quarant’anni, senza inginocchiarsi al nuovo che non avanzerà mai, un messaggio da Pesaro ci porta a considerare l’importanza degli occhi e degli sguardi nella gente che hai frequentato viaggiando tanto, raccontando abbastanza. Dalla lanterna magica del fantastico Elio Giuliani, araldo, principe, maestro di chiavi della vera Pesaro cestistica, una foto dell’addetto stampa più longevo del reame con Alberto Sordi che nel centenario ci sembra tragicamente immenso. Era il 1990, mostra pesarese del cinema nuovo, ma super Elio è riuscito a mettere sul palmo della mano di Albertone il pallone usato nella partita delle stelle che la Lega aveva organizzato su quel mare. Occhi per dirci tutto, una mano sulla spalla in segno di vera di complicità, senza ombra di noia.
Ce le teniamo, queste immagini. Quasi tutte quelle che la Lega basket ha messo sul sito per ricordare i 50 anni. Gli occhi di Porelli e Tesini. De Michelis con Crovetti, il ministro che fece aprire la Sesamo televisiva insieme al Villalta sindacalista mentre l’avvocatone se lo cullava nella speranza che avesse capito il momento e il ruolo, sicuro che Renatone sarebbe stato bravo anche fuori dal campo.
Foto, facce, storie e anche se non siamo del tutto soddisfatti dei tre quintetti del cinquantenario. Ha ragione il Nano di Evanston quando pensa che McAdoo forse avrebbe meritato di stare nel primo, anche se da europeo, da amante della scuola unica creata nel regno dei plavi a spicchi, mi è piaciuta la scelta di Kukoc. Sui tre allenatori scelti rileggere il manuale di Epitteto. Non tutti saranno d’accordo, ma deve essere così e soltanto chi pensa di avere la verità rivelata se la prende se non scegli come gli piacerebbe, anche se poi le spiegazioni per la simpatia non ci obbligano a cambiare parere. Ci si abbraccia dove e con chi si vuole, basta che la stessa cosa sia concessa a tutti. O no?
Non abbiamo mai nascosto che passeremmo la quarantena ovunque con tipi come Tanjevic, forse con Bianchini garantito dalla simpatia di Marina e da Petazzi o, un tempo, lo avremmo fatto con il professor Guerrieri e Pentassuglia, con Albertone Bucci, con Tracuzzi, Gamba e Garbosi, anche se ci attaccava il telefono indignato per un secondo prima di perdonare, non neghiamo che ci piacerebbe ascoltare Boniciolli anche se in luna calante, confessiamo apertamente che con Messina andremmo a pranzo soltanto se si togliesse l’armatura che indossa sempre lontano dal suo clan, bello, vivace, ma suo e basta, con Peterson soltanto se giurasse di raccontare le meravigliose storie con cui ha catturato cuori di campioni e di telespettatori e non si avventurasse oltre la guerra di Secessione.
Staremmo per un po’ anche ad ascoltare il Pozzecco che ci ha davvero sorpreso lasciando in sospeso il bacio con Sassari, ma alla lunga saremmo d’accordo: lui a stracciarsi le camicie dove si sente più a suo agio, noi a piagnucolare sul fatto che nelle classifiche della Lega non potevano esserci i grandissimi del periodo dal primo dopoguerra alla nascita della creatura che è stata spesso divina, spesso settimina, molte volte incerta, indecisa, debole, succube. Certo col Poz è cinema Paradiso ad ogni ora. Poi prendono il capro espiatorio al mirto e ti fanno sapere che sono gli altri ad essersi inventati un divorzio che, viste le facce, sembrerebbe al momento una separazione in casa, come diceva Civolani quando lo stuzzicavi sulla vita coniugale. Visto questo teatrino che ha mandato fuori giri tanta gente torniamo a noi.
Insomma, ci mancano quelli scelti al momento d’innamorarsi di questo basket che, come avete visto, non ce la fa proprio a stare a tavola con quelli che producono soldi come il calcio, idee, come la pallavolo o il nuoto, passione come l’atletica, fede come tutte le discipline di fatica, tormento, in acqua, in pista, in palestra, su strada. Speravamo nel coraggio della rivoluzione per recuperare questa annata avvelenata, per ritrovare unità d’intenti riscoprendo il piacere del reclutamento, dell’insegnamento. Niente, perle ai porci.
Grazie a Mauro Gurioli ogni tanto viaggiamo nel tempo, un bel lavoro, una passione limpida, anche se non gli daremo mai ragione quando dice che gli ammutinati di Azzurra nel 1961 non sono tanto diversi da questi gattini tenuti al guinzaglio da chi esalta il suo ego al bancomat. Quelli lavoravano e studiavano davvero. Quasi tutti. Questi sono professionisti che si fanno applaudire, difficilmente si fanno amare e che cambiano casacca con facilità e nessuna paura di passare oltre il confine della decenza. Colpa nostra, dirà qualcuno. Può essere. Certo, sempre stuzzicati dal Gurioli che alimenta il museo milanese del dottor Papetti, rimane la nostalgia come quella pagina del Curierun in cui Gherarducci racconta il 17° scudetto di Rubini perché oltre alla storia di una grande e di una bella squadra sopra c’era Rocco con Altafini e Cesare Maldini in partenza per il sogno in Coppa dei Campioni.
Queste nostalgie diventano speciali se qualcuno ritrova le meravigliose lettere che Giovanni Arpino scriveva a politici, campioni, artisti, riportandoci ai giorni in cui non c’era vernice che potesse cancellare il progetto delle pagine sportive al Giornale montanelliano, prima con Grandini e poi con Caruso, queste giornate diventano mute se devi salutare un genio come Luigi Spagnol, l’uomo che ci fece scoprire molto più di Harry Potter sulle molte navi che ha pilotato, queste ore del fuori tutti che ci hanno fatto vedere un calcio nel silenzio, a parte chi doveva commentare, temendo già la valanga dei finti vociotti sotto docce gelate e bevande liofilizzate, partite difficili da interpretare, per tutti, salvo quelli che ne sanno sempre di più e magari se la prendono con allenatori costretti a mandare in campo gente vista per due mesi soltanto in video chiamata, con arbitri che hanno dovuto reinterpretare certe occhiatacce da balera.
Niente di paragonabile con lo sguardo che si sono scambiati Rivera e il “tetesco” Schnellinger alla fine della famosa partita dell’Atzeca che in questo lungo supplementare mette a confronto la fine penna del Crosetti e quella caldissima di Nando dalla Chiesa che ci ricorda tanto e, personalmente, considerando le parentele, anche il congedo professionale ai tempi del Corsport nell’alba tragica del 2004.