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La Juve di Sandro Puppo
Stefano Olivari 06/02/2008
L’ultimo passo falso casalingo contro il Cagliari non ha portato particolari polemiche. E’ naturale che sia così. Ma quando non vince la Juve per i suoi tifosi è dramma. Non solo. Per gli stessi avversari il sapore del successo non ha aromi di primissimo ordine. Diceva l’Avvocato che il secondo è il primo degli ultimi e, dalla sua visuale tutta bianconera, aveva perfettamente ragione. La giustificazione che si adotta di questi tempi, dopo l’ingresso nell’aurea mediocrità, cioè nella zona Champions, è che in fondo si tratta pur sempre di una neopromossa. E’ un timido arrampicarsi sugli specchi per scivolare, Dio non voglia, sempre più in basso negli anni a venire, a meno che…
La verità di una situazione che ci sembra lapalissiana e che Ranieri cerca di coprire mettendoci coraggiosamente la faccia, appare totalmente diversa. Se è vero che una squadra non si improvvisa e non dà risultati dopo una sola stagione di assemblaggio, la Juve non ha fatto nulla per uscire da quello stato di team non più grandissimo, ma almeno teso a riconquistare il tempo perduto. Per chi ne ha voglia e deve infatti ricostruirsi per tornare al passato e al successo occorre dell’altro che non un Sissoko o un Mellberg, gente di tutto rispetto ma non certo con la capacità di cambiare radicalmente forza e attitudini che riportino ai fasti trascorsi. Se si parla Ronaldinho scorrono i nomi di Milan e Inter per un interessamento o l’eventuale acquisto, mai della Juve. E vale lo stesso discorso per altri giocatori che hanno raggiunto il top in Europa e nel mondo. E’ vero che Madama, nella sua storia, ha sempre acquistato giovani quasi semisconosciuti che poi hanno finito per mostrare il proprio talento in bianconero, ma è anche vero che allora c’erano investimenti tali in questo campo da assicurare il primato. Basti pensare a Charles e Sivori nel lontano passato o all’ultima rivoluzione compiuta da Moggi che portò a Torino Buffon, Nedved e via di seguito con spese sì da capogiro, ma anche con entrate corpose, considerata la cessione di Zidane. Adesso la logica dei fuoriclasse da acquistare è andata a farsi benedire, se in estate si è riusciti a malapena a prendere Almiron, mentre quella dei giovani sconosciuti ma di talento, lascia molto a desiderare. Comunque, se in questa stagione l’obiettivo era l’ingresso in Champions che sarà sicuramente raggiunto, c’è da chiedersi cosa accadrà nella prossima proseguendo in una politica di attesa e risparmio. Che in fondo non è tale perchè il non vincere comporta spese che non si recuperano…
Del Piero, poi, speriamo si conservi ancora bene, e anche Nedved avrà un anno in più: non è proprio detto che possano giocare agli stessi livelli. Resterà Trezeguet, ma il bomber se non ha palloni da spingere in porta non può andarseli a cercare. Forse i primi, gravi errori furono commessi all’epoca della caduta. Se determinate cessioni erano inevitabili, vedi Ibra e Vieira, sin da allora si doveva pensare il futuro senza nascondersi dietro il dito della possibile e certa promozione e di una neo promossa in A, che avrebbe rispettato i canoni che la stessa ordinava. Per altre squadre forse sì, è, è stato e sarà sempre così, ma per la Juventus no. E’ un concetto solo astruso, rapportato al bianconero. Se la Juventus non vince o non tenta di contrastare il successo agli altri sembra quasi che non abbia ragione di esistere.
E allora? Allora ricordiamo una stagione in cui la Juve fu allenata da Sandro Puppo, che guidò un manipolo di giovani verso una salvezza davvero faticosa, dopo che inizialmente era arrivata a collezionare ben otto sconfitte. Dopo quell’anno di carestia, però, come tradizione di famiglia comanda da sempre, scese in campo in prima persona il dottor Umberto Agnelli. Succedeva all’Avvocato che aveva lasciato da qualche tempo, dopo aver stravinto con gli Hansen e i Boniperti. Con il Dottore la Juve in un baleno tornò a essere Juve e a vincere a mani basse. Nella stessa storia dei bianconeri riportata dal sito ufficiale della società si può infatti leggere: “Umberto Agnell riporta subito la Juve sul trono d’Italia, Brocic non solo comanda i vari Boniperti, Charles e Sivori, ma fa anche esordire tra i pali un giovanissimo Mattrel; commise però l’errore di fare la guerra ad un Sivori osannato dai tifosi e super protetto dalla dirigenza e quando l’anno successivo la Juve venne sonoramente battuta per 7-0 dal Wiener in Coppa Campioni, lo jugoslavo venne congedato, con grande soddisfazione del “Cabezon”. Il dottore continuò a vincere e divenne anche presidente della Lega.
Ma questa è storia che può o non può incidere nei futuri destini societari perchè i tempi sono cambiati e certi ricordi possono lasciare il tempo che trovano, mai però nell’animo degli juventini di provata fede. Per questo un impegno personale degli eredi dei grandi presidenti bianconeri non guasterebbe, anzi potrebbe rappresentare l’inizio di un nuovo mutamento epocale e riportare la Juve ai fasti di sempre. Per John o Lapo pensiamo sia giunta l’ora di scendere in campo in prima persona. Lo impone la tradizione di famiglia che non può essere trascurata o sottaciuta, lo richiedono a gran voce i tifosi di tutta Italia. La Juve deve riprendere il suo cammino, deve tornare a stare alla pari di Milan e Inter e giocarsi lo scudetto in ogni stagione. Non può restare tra coloro che sono sospesi e procedere per tentativi fortunati o meno. E’ vero, il calcio non è matematica, ma la mano di chi governa spesso ha un peso determinante. Specie se l’impegno è in prima persona. Solo quando le cose procederanno secondo logica si potrà tornare alle gestioni diversificate. Lo insegna la storia bianconera, cui non è certo estraneo Gianbattista Vico con i suoi corsi e ricorsi. E’ l’ora di ricominciare insomma, perchè una Juve che non punti decisamente al primato, che si barcamena nel tentativo di conquistare un posto in Champions resta una squadra dimezzata. Quella che non piace ai suoi tifosi e neppure agli avversari.
Federico De Carolis
fedecarci@hotmail.it