La fine di Giancarlo Beltrami

28 Settembre 2022 di Stefano Olivari

Giancarlo Beltrami era un direttore sportivo di quelli di una volta, ma davvero di una volta: calciomercato, gestione dello spogliatoio, rapporti con i giornalisti, voce del padrone. Una figura il cui lavoro oggi è svolto da almeno venti persone diverse, con venti mansioni diverse citate su LinkedIn (e ventimila esseri tristi che si congratulano per l’anniversario lavorativo), non perché Beltrami fosse un supereroe ma perché tutti i direttori sportivi erano così, come il Tognazzi di Ultimo Minuto. Non soltanto la catena di comando era snella, ma le persone erano davvero poche.

Il milanesissimo (era cresciuto nel Milan) Beltrami si distingueva dai suoi colleghi soprattutto per l’educazione: non che fosse un piccolo lord, nel calcio bastava e basta davvero poco e noi peones lo apprezzavamo. Inutile ricordare la sua storia al Como, dove portò Vierchowod e Tardelli, e all’Inter, dove arrivò nel 1977 insieme a Bersellini e con Mazzola appena passato da calciatore a dirigente, rimanendo fino al 1993. Tanti gli acquisti azzeccati, da Altobelli a Berti, con budget risicati che con il cambio di presidenza sarebbero diventati di lusso. Insomma, dal braccino corto di Fraizzoli ai grandi colpi di Pellegrini, non tutti da lui approvati: in particolare Dennis Bergkamp, del cui arrivo fu addirittura tenuto all’oscuro.

Da lì all’addio all’Inter, in un momento in cui l’uomo forte era Piero Boschi, il passo fu breve, con ritorno al Como nel ruolo di consulente. Come sempre accade i colpi mancati sono ricordati più di quelli riusciti, ma Platini e Falcão furono tutt’altro che colpi mancati: di entrambi Beltrami ottenne la firma, ma nel primo caso Fraizzoli a frontiere ancora chiuse si stancò di pagare in nero Platini per tenerlo al Nancy, che infatti dopo quella rottura al St. Etienne, dove giocò tre anni prima di andare alla Juventus, e nel secondo si mosse personalmente Andreotti per bloccare tutto.

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