Recensioni

Iva Zanicchi, nata di luna buona

Paolo Morati 18/11/2019

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Immaginate la scena. Iva Zanicchi diretta in Cile su uno sgangherato aereo, seduta dietro a Gina Lollobrigida. Trentadue ore di viaggio comprese le soste per i rifornimenti per arrivare alla capitale Santiago. La Zanicchi estenuata, che scende le scale dell’aereo con occhialoni neri, tutta arruffata e in preda ai conati di vomito, mentre la ‘Lollo’ si cambia d’abito nonostante la temperatura oltre i 40 gradi e appare impeccabile indossando una pelliccia di visone.

Questo è solo uno degli aneddoti raccontati da Iva Zanicchi nella sua autobiografia Nata di luna buona (Rizzoli), avvenuto nel 1978 quando l’aquila di Ligonchio era ormai una cantante affermata, vincitrice di tre Festival di Sanremo, in grado di gareggiare alla pari con le altre due interpreti dai soprannomi selvatici. Ossia Mina, la Tigre di Cremona, e Milva, la Pantera di Goro.

Ecco Ligonchio, piccola paese di montagna, in provincia di Reggio Emilia. Da lì, anzi dalla sua frazione Vaglie, parte l’avventura di Iva Zanicchi, bambina già dal vocione e ragazzina amante del blues, attesa come maschio dopo due femmine, in uno scenario povero e faticoso figlio della guerra. Guerra che fa capolino in diversi episodi, e che nelle successive pagine  scompare, ma che è importante per capire la forza e la tenacia che ha poi portato poi la giovane Iva a emergere.

Un contesto storico in cui l’industria musicale aveva logiche totalmente diverse rispetto a quelle di oggi, e che la Zanicchi racconta in modo appassionato nelle prime delusioni ma anche rincorse per arrivare, tra le esibizioni nelle balere e il Festival di Castrocaro, finalmente nel 1964 a una prima affermazione discografica.

La canzone è Come ti vorrei, cover di Cry to me di Solomon Burke, che comincia a diffondersi nei jukebox dell’epoca, mentre Iva Zanicchi è impegnata nelle prime serate in Versilia, per poi finalmente avviare la scalata del successo, non senza difficoltà e timidezze oltre che concorrenze interne alla sua casa discografica, che la porterà appunto ai tre Sanremo vinti, e a girare il mondo tra America Latina, Australia, Giappone, Stati Uniti, Unione Sovietica. Fino alla svolta televisiva e all’avventura al Parlamento Europeo. Concludendo di fatto che la politica è un ambiente ancora più cattivo di quello dello spettacolo.

In definitiva Nata di luna buona racconta molto della Iva Zanicchi prima di diventare ‘aquila’, del classico piccolo mondo fatto di personaggi riconosciuti in paese da nomi e soprannomi, di famiglie strette strette che facevano ogni giorno i conti con i pochi mezzi a disposizione. Ma si parla anche di musica, con riferimento al periodo pre Ok il prezzo è giusto (peccato non accenni a una delle sue canzoni che preferiamo, Chi mi darà del 1984), mentre quello successivo viene poco approfondito a parte l’amaro sfogo relativo al Sanremo del 2009 e le ironie di Roberto Benigni sul suo brano Ti voglio senza amore.

Diversi gli aneddoti, dalla lotta per avere le primi canzoni alle avance di Alberto Sordi, alla carta igienica donatale a New York “dall’italiano più vecchio d’America”, agli incontri e amicizie extra musicali con Richard Burton, Giuseppe Ungaretti, Giacomo Manzù, Mario Schifano… Insomma, una lettura per andare oltre il “100, 100, 100!!!” con cui viene spesso superficialmente identificata.

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