Italia 1982: da Bettega a Selvaggi

7 Agosto 2022 di Stefano Olivari

Estratto del capitolo ‘Da Bettega a Selvaggi’, contenuto nel libro Italia 1982 – Storia critica del Mondiale più bello, disponibile in versione elettronica Kindle, a 6,99 euro, e in versione cartacea al prezzo indicativo di 14,90 euro, su Amazon e in tutte le librerie d’Italia, prima fra tutte la Hoepli, che lo avranno ordinato a Distribook.

Finito il campionato bisognava risolvere il caso Bettega. Per questo Bearzot ad Alassio aveva convocato solo 21 giocatori, 15 per mercoledì 19 maggio e 6 per due giorni dopo, cioè i 6 di Inter e Torino impegnati nella finale di ritorno di Coppa Italia. I 21, senza sorprese, furono Bordon, Galli e Zoff come portieri, Franco Baresi, Bergomi, Collovati, Gentile, Cabrini, Scirea e Vierchowod come difensori, Antognoni, Dossena, Marini, Massaro, Oriali e Tardelli come centrocampisti, Altobelli, Causio, Conti, Graziani e Rossi come attaccanti. La prevista e prevedibile Nazionale di Bearzot, più qualche giovane che sapeva o comunque doveva stare al proprio posto.

Negli ultimi anni la Nazionale aveva avuto una sola certezza: Bettega. Certezza in campo e fuori visto che quello degli juventini in Nazionale non era un clan compatto, come dal di fuori in tanti pensavano, e soltanto Bettega riusciva a mettere tutti d’accordo, esponendo poi a Bearzot la posizione comune. Poteva non piacere, ed agli esclusi di sicuro non piaceva, ma in quel calcio dalle gerarchie quasi militari funzionava così un po’ in tutte le squadre. Il pomeriggio di giovedì 20 maggio Bearzot andò a casa Bettega, una villetta di Moncalieri, per guardarlo negli occhi e capire se ci credesse ancora. L’attaccante della Juventus era stato di nuovo operato, due settimane prima, e questo per la medicina del tempo significava che le possibilità di andare in Spagna erano zero. Tutto era iniziato il 4 novembre, in Coppa dei Campioni contro l’Anderlecht, ritorno degli ottavi di finale. La Juventus doveva rimontare un 3-1 e al Comunale c’era il clima giusto per l’impresa, con Bettega scatenato: subito un colpo di testa finito sul palo e pochi minuti dopo su cross di Marocchino un’altra buona occasione. Con la solita cattiveria, che intimidiva compagni e avversari, Bettega si era avventato sul pallone, scontrandosi con Munaron. Impatto terribile, quello con il portiere belga, ma per qualche minuto l’attaccante era riuscito a rimanere in campo con un’iniezione di novocaina.

Sulle prime non era nemmeno sembrata una situazione da mettere in pericolo il Mondiale, ma tre giorni dopo sarebbe stato operato al legamento collaterale mediale del ginocchio sinistro dal professor Pizzetti. Fra tre mesi di nuovo in campo, dicevano i medici. “Al Mondiale sarai il più fresco di tutti”, aveva provato a tirarlo su Bearzot. Che addirittura un mese dopo sarebbe stato ospite a Caccia al 13, trasmissione condotta proprio da Bettega a rotazione con altri giocatori, fra i quali Cabrini, e che andava in onda in varie tivù locali in tutta Italia. Massacrante rieducazione, mille consulti con luminari della medicina o pseudo-tali, ma ad inizio maggio il ginocchio non era ancora riuscito a distendersi completamente, mancavano 5 gradi. E al di là dei gradi stava andando in scena una battaglia fra Bettega, immolatosi per la causa, e la Juventus che gli chiedeva di voltare pagina e prepararsi per la stagione successiva. Proprio in questi giorni Bettega iniziò a parlare di un fine carriera ai Toronto Blizzard, cosa che l’anno dopo sarebbe accaduta davvero. I rapporti fra Bettega e Boniperti sarebbero rimasti pessimi per sempre, ed infatti il primo sarebbe diventato dirigente della Juventus soltanto nel 1994, dopo il pensionamento del secondo.

Tornando a quel pomeriggio del 20 maggio, Bettega spiegò a Bearzot di essere in grado di correre, ed infatti Trapattoni lo aveva portato in panchina con l’Inter e a Udine, nella partita del rientro di Paolo Rossi. Per motivarlo Bearzot si spinse molto oltre, dicendogli che avrebbe dovuto essere pronto non per l’inizio del Mondiale, ma per la seconda fase. Il primo a non credere in questo scenario era però il c.t., visto che i media l’avrebbero linciato e soprattutto che la FIGC non gli avrebbe permesso di convocare un giocatore inutilizzabile in un attacco che già aveva il punto interrogativo su Rossi. Bettega apprezzò la visita di Bearzot ma ne comprese anche il vero significato: il c.t. non aveva il coraggio di escluderlo e in pratica gli stava chiedendo di essere lui chiamarsi fuori. Quel pomeriggio torinese, pieno di silenzi imbarazzati e parole ancora più imbarazzate, si chiuse con un abbraccio in cui c’era tutto.

Bearzot poi corse al Comunale per Torino-Inter, finale di ritorno di una Coppa Italia poi vinta dai neroazzurri di Bersellini, e lì allo stadio disse ai giornalisti che la convocazione di Bettega si sarebbe decisa entro dieci giorni. Una dichiarazione senza senso: tutti, a partire da Bettega, sapevano che per andare al Mondiale in condizioni decenti era ormai troppo tardi, e che in ogni caso il ventiduesimo convocato sarebbe stato percepito come un azzurro di serie B, una specie di intruso arrivato a poche ore dalla partenza per la Spagna. Lunedì 24 maggio Bettega annunciò che non sarebbe andato al Mondiale, anzi lo annunciò la Juventus con un comunicato. Amarezza nell’amarezza, Bettega sarebbe, come tutte le estati, andato in vacanza ad Alassio. E durante il Mondiale avrebbe scritto anche una rubrica per La Stampa: Bearzot lo avrebbe sempre considerato il ventitreesimo campione del mondo e lo avrebbe anche richiamato in Nazionale per le qualificazioni europee, ma per Bettega il trionfo di Madrid sarebbe diventato il ricordo peggiore di tutta la carriera. Perché il campione di quella Nazionale era lui.

Fuori dai giochi Bettega, Bearzot fu obbligato a scegliere. Pruzzo era stato scartato, ma la FIGC sempre a caccia di consenso mediatico spingeva perché il c.t. rivalutasse la situazione: era l’attaccante italiano che segnava più gol, senza discussioni, e avrebbe garantito a Bearzot anche un po’ di tregua da parte della stampa romana, quella a lui più ostile e che più influenzava l’atteggiamento della RAI nei suoi confronti. Avrebbe avuto senso anche Marocchino, che giocava sulla fascia ma aveva grande fisico e come punta di riserva poteva starci. Portare Marocchino avrebbe però creato problemi con Causio, al quale l’anno prima aveva tolto il posto nella Juventus.

Il piano B iniziale, cioè Selvaggi, fu così ufficializzato, con la sicurezza che l’attaccante del Cagliari non avrebbe mai reclamato un posto né rilasciato un’intervista polemica. L’anno prima aveva giocato, senza brillare, una partita di qualificazione mondiale con la Grecia ed un paio di amichevoli, inserendosi però bene nello spogliatoio. Altre volte Bearzot lo aveva convocato e basta, era insomma già uno del giro ed il c.t. sapeva di potersi fidare senza dovergli fare discorsi antipatici ed espliciti. Soprattutto Selvaggi non aveva alle spalle grandi città e grandi media: nessuno avrebbe invocato il suo impiego nemmeno al posto di un Rossi morto. Selvaggi aveva già 29 anni e non si era mai distinto come goleador, pur essendo molto rapido e bravo tecnicamente: nel campionato appena terminato aveva segnato 8 reti, finendo tredicesimo nella classifica marcatori, undicesimo degli italiani dietro a Pruzzo, Bivi, Pellegrini, Mancini, Piras, Garlini, Graziani, Altobelli, Beccalossi e Virdis. Quattro giorni dopo la convocazione azzurra il suo momento magico continuò, con il passaggio dal Cagliari al Torino per un miliardo e 200 milioni di lire, operazione fortemente voluta dal nuovo direttore sportivo granata Moggi.

Selvaggi fu quindi uno dei due azzurri a cambiare squadra prima del 31 maggio, termine fissato dalla FIGC per i trasferimenti dei nazionali. L’altro fu Collovati, che il Milan appena retrocesso in serie B cedette all’Inter con un’operazione che fece discutere molto. Ai rossoneri, che fra Baresi e Collovati, entrambi cresciuti nel settore giovanile, scelsero di privarsi del secondo, per la comproprietà dello stopper andarono 2,2 miliardi di lire più il prestito annuale di Serena, Canuti e Pasinato. Pochi giorni dopo il Mondiale Vierchowod, di proprietà della Sampdoria, sarebbe passato in prestito alla Roma. In generale non si può dire che i campioni del mondo 1982 abbiano monetizzato il titolo cambiando squadra o ottenendo ingaggi molto più alti, del resto in quell’estate Jean-Marc Bosman era soltanto un discreto centrocampista nelle giovanili dello Standard Liegi.

Estratto del capitolo ‘Da Bettega a Selvaggi’, contenuto nel libro Italia 1982 – Storia critica del Mondiale più bello, disponibile in versione elettronica Kindle, a 6,99 euro, e in versione cartacea al prezzo indicativo di 14,90 euro, su Amazon e in tutte le librerie d’Italia, prima fra tutte la Hoepli, che lo avranno ordinato a Distribook.

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