Islam che avanza

Non siamo tutti uguali, poche cose come l’Olimpiade ce lo ricordano. E citando (cioé copiando) Altan, solo il contatto con persone diverse ci fa venire in mente idee che non condividiamo. Un mese e mezzo fa all’Arena di Milano ci siamo trovati a pochi metri di distanza da Roqaya Al-Gassra, atleta del Bahrein (lei davvero, al contrario dei keniani e dei marocchini a contratto del mezzofondo) che l’aveva appena vinto i 100 metri della notturna: dalla tribuna rispetto alle avversarie sembrava una palla inquietante, con il corpo totalmente fasciato da una pseudo-tuta ed in testa lo hijab musulmano, mentre da vicino abbiamo avuto la sensazione di trovarci di fronte ad un mistero non solo atletico: una struttura fisica non da mostro dello sprint, un’altezza normale, i movimenti circospetti di chi nella propria vita ha passato dei guai seri. L’Islam che avanza senza che all’orizzonte si veda Jan Sobieski, scriverebbe il bravo editorialista. Un mistero, ribadiamo noi. Un mistero che ha lottato, visto che ad Atene con una trascurabile presenza nei 100 diventò la prima donna del Bahrein a partecipare ai Giochi. Superando le obiezioni dei fondamentalisti, che trent’anni fa erano marginali (solita modesta testimonianza: a Manama si compravano tranquillamente alcolici e le donne rispetto a quelle dell’Arabia Saudita si vestivano come delle veline), grazie ad una soluzione tecnica lontanissima parente di quella di Cathy Freeman a Sydney 2000. L’abbiamo rivista al Golden Gala di Roma ed adesso in televisione, nel secondo quarto di finale dei 200 metri: qualificazione facile per le semifinali e, stando a quanto si è letto, zero parole con la stampa grazie alla buona scusa di non sapere l’inglese ed il francese. Forse una sua vittoria ci aiuterebbe ad essere meno in pericolo, le valanghe nascono da poco.

Stefano Olivari
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