Il Mondiale di Artemio Franchi

Estratto del capitolo 'Il Mondiale di Artemio Franchi', contenuto nel libro Italia 1982 - Storia critica del Mondiale più bello, disponibile in versione elettronica Kindle, a 6,99 euro, e in versione cartacea al prezzo indicativo di 14,90 euro, su Amazon e in tutte le librerie d'Italia, prima fra tutte la Hoepli, che lo avranno ordinato a Distribook.

14 Agosto 2022 di Stefano Olivari

A Madrid, due giorni prima di Italia-Germania Ovest, Havelange venne eletto presidente della FIFA per la terza volta, ma in realtà fu il giorno della consacrazione di Artemio Franchi come più grande dirigente del calcio mondiale. Havelange era al vertice da quando alla vigilia del Mondiale del 1974 aveva sconfitto a sorpresa l’allora presidente Stanley Rous, inglese conservatore e sostenitore dell’idea di una FIFA eurocentrica. Vero uomo di sport, cosa che non è in contraddizione con la corruzione, partecipazioni olimpiche come nuotatore (Berlino 1936) e pallanotista (Helsinki 1952), il ricco brasiliano era stato lanciato nel calcio dai successi del Brasile di Pelé e per diventare presidente della FIFA aveva avuto un’idea semplice e al tempo stesso geniale: visto che l’Europa dominava i congressi grazie al numero di delegati presenti, lui avrebbe portato al voto tutti quelli del Terzo Mondo che fino ad allora non avevano potuto viaggiare per motivi finanziari. Così Havelange convinse personalmente quasi tutti a partire per la Germania, con aerei, vitto e alloggio pagati personalmente da lui. Risultato: 68 voti, contro i 52 di Rous, nello scrutinio decisivo.

Da lì era nata la FIFA dei grandi sponsor, su tutti l’Adidas, una federazione-azienda in cui nel 1975 si era inserito Blatter e in cui stava benissimo un uomo di mondo come Franchi. Che quel 9 luglio 1982 avrebbe avuto i voti per detronizzare Havelange, unendo terzomondismo ed Europa, ma fece un passo indietro dopo aver stretto un patto di ferro con il brasiliano: ancora quattro anni di presidenza per Havelange in cambio del Mondiale 1990 in Italia e di nessun ostacolo quando nel 1986 come presidente della FIFA si sarebbe candidato Franchi. Havelange accettò senza obiezioni, anche perché in ogni caso Franchi avrebbe avuto i voti per scalzarlo: fu così rieletto presidente, con Franchi e il tedesco Neuberger vicepresidenti. In questa trattativa entrò anche l’arbitro della finale, che sarebbe stato Coelho. Brasiliano e ovviamente nel cuore di Havelange, una garanzia per l’Italia e anche per la Germania. Franchi suggerì i guardalinee, l’amico Klein e il cecoslovacco Christov, mentre come arbitro di riserva fu designato Vautrot. Gli azzurri non avrebbero avuto regali, ma nemmeno un arbitraggio ostile: per vincere i grandi tornei è il minimo. Perché un concetto chiaro ad ogni addetto ai lavori è che la politica può trascinare una squadra scarsa solo fino a un certo punto, ma con molta più facilità può stroncare le speranze di una forte.

In ogni caso la discussione su chi sia stato il più potente dirigente calcistico italiano non può nemmeno iniziare: il Mondiale 1982 fu il Mondiale di Artemio Franchi, senza nulla togliere ai meriti di Bearzot e di chi andò in campo. Presidente della UEFA dal 1973 e vicepresidente della FIFA dal 1974, Franchi era temuto da tutti in quanto responsabile degli arbitri FIFA e UEFA. In altre parole, tutti i grandi arbitri internazionali sapevano che Franchi poteva in teoria rovinare la loro carriera: non significava che poi fischiassero rigori inesistenti in favore dell’Italia, ma di sicuro che gli azzurri non avrebbero mai avuto un cattivo arbitraggio. Lo si era visto benissimo quattro anni prima: senza uno del valore di Klein l’Italia non avrebbe mai potuto battere quella Argentina in quel contesto politico. Va ricordato che gli arbitri del Mondiale non erano scelti dalle singole federazioni, ma dalla FIFA. Anzi, direttamente da Franchi che il 15 marzo a Zurigo aveva comunicato i nomi dei 41 eletti. Non più di uno per nazione, per l’Italia Casarin preferito a Gigi Agnolin.

Al Mondiale spagnolo Franchi aveva 60 anni ed era al massimo del suo potere: il 28 aprile a Dresda era stato rieletto presidente della UEFA per acclamazione, da tutti i presenti, 33 federazioni su 34, senza bisogno di votare. E fra gli invitati c’era anche Havelange, che sentendo la poltrona FIFA traballare era venuto a rendere omaggio al suo vice. Un uomo dalle mille relazioni, Franchi, uscito indenne anche dallo scandalo P2, la loggia massonica segreta di cui lui era uno degli iscritti: tante carriere stroncate, ma certo non la sua. Che dai media soprattutto anglosassoni veniva spesso accusato di ammorbidire, insieme ad Allodi, gli arbitri delle partite con club italiani o la Nazionale in campo. Accuse infondate, non perché Franchi fosse un modello di etica ma perché degli arbitri era il capo: non aveva certo bisogno di corromperli.

In Spagna si sentiva ormai il padrone del calcio mondiale e lo era davvero, con davanti a sé anni di sicuri successi, da celebrare a Italia ’90, non ancora assegnata ma sicura, per poi dedicarsi all’amato Palio di Siena (era capitano della contrada della Torre). Certo sotto la gestione Franchi gli arbitraggi in Spagna furono scadenti, pieni di episodi che hanno fatto storia in negativo. Solo per citare i casi più famosi: i tre rigori (due sarebbero stati per l’URSS) non concessi dallo spagnolo Lamo Castillo in Brasile-Unione Sovietica, il rigore dato dall’argentino Ithurralde alla Spagna contro l’Honduras, il rigore per il Perù contro l’Italia ignorato da Eschweiler, il rigore per la Spagna contro la Jugoslavia dato dal danese Soerensen, per un fallo nettamente fuori area, sbagliato da Lopez Ufarte ma fatto ripetere e segnato da Juanito, lo sceicco del Kuwait che scese in campo a Valladolid ottenendo che il sovietico Stupar annullasse un gol della Francia, Rainea che lasciò massacrare Maradona dagli azzurri, il fallo criminale di Schumacher su Battiston in Germania Ovest-Francia.

Artemio Franchi aveva il mondo in mano ma l’avrebbe perso il 12 agosto del 1983, sulla Firenze-Siena, scontrandosi con un autocarro mentre era alla guida della sua Fiat Argenta, un incidente dalla dinamica non chiara. Con un beneficiario sicuro: quell’Havelange traballante sarebbe rimasto presidente della FIFA fino al 1998, prima di passare lo scettro a Blatter. Di certo dopo la sua morte il calcio italiano in quattro decenni non avrebbe prodotto altri dirigenti in grado almeno di sognare la presidenza UEFA o FIFA. Al suo funerale Bearzot fece una buona sintesi: “Devo ad Artemio Franchi tutta la mia carriera in federazione. Era il pontefice massimo del calcio mondiale e l’Italia sentirà molto la sua scomparsa”.

Estratto del capitolo ‘Il Mondiale di Artemio Franchi’, contenuto nel libro Italia 1982 – Storia critica del Mondiale più bello, disponibile in versione elettronica Kindle, a 6,99 euro, e in versione cartacea al prezzo indicativo di 14,90 euro, su Amazon e in tutte le librerie d’Italia, prima fra tutte la Hoepli, che lo avranno ordinato a Distribook.

Share this article