Basket

Il coraggio di Red Robbins

Stefano Olivari 25/11/2009

article-post

di Stefano Olivari

Una persona degna di fiducia ieri ci ha detto al telefono: ”E’ morto Red Robbins. Ho letto un suo ricordo sul New York Post, nell’articolo di Peter Vecsey. Ma scommetto che sul sito dell’Armani Jeans non c’è nemmeno la notizia”. Il nostro interlocutore aveva ragione, abbiamo visitato il sito e non abbiamo trovato nulla. Per la verità nemmeno oggi, almeno fino al momento in cui stiamo scrivendo. Niente sulle agenzie di stampa, che del resto vivono di sovvenzioni pubbliche e si concentrano sui tagli di nastro dell’assessore. Niente sui giornali, sportivi e non, con le eccezioni di una ‘breve’ sulla Gazzetta e su Superbasket. Eppure Austin ‘Red’ Robbins ha lasciato una traccia sia nella storia dell’Olimpia che in quella del basket pro americano: dopo il college a Tennessee sotto Ray Mears, nel 1966-67 fu infatti straniero di coppa (quello ‘totale’ era Steve Chubin) nel grande Simmenthal campione d’Europa in carica che avrebbe perso di un niente la finale con il Real Madrid. Poi nel 1975-76 straniero anche in campionato, in una stagione stranissima conclusa con la retrocessione del Cinzano (allenatore Pippo Faina, in campo anche Brumatti e Ferracini) in A2 e la vittoria in Coppa delle Coppe. In mezzo a queste due stagioni visse da protagonista quasi tutta la romantica e selvaggia storia della ABA, dalla fondazione (1967, appunto) alla penultima stagione (la lega si sarebbe sciolta nel 1976). New Orleans Buccaneers, Utah Stars, San Diego Conquistadors, Kentucky Colonels e Virginia Squires. Zero minuti nella NBA, nonostante fosse stato scelto dai Sixers. Era l’archetipo fisico del mazzolatore bianco, tanto amato a Milano, ma dotato anche di grande tecnica sia come quattro che come centro: eccellente rimbalzista (in otto stagioni ABA media partita di 10,5), buon difensore, attaccante sottovalutato (13,1 la media) nel 1972 fu anche un buon tiratore da tre punti in un’epoca in cui l’ala forte faceva di solito l’ala forte e absta. Anche se l’highlight della carriera rimane la prestazione in garasette delle finali del 1971, con la maglia degli Stars e compagni come Zelmo Beaty (uno dei grandi che aveva ‘tradito’ la NBA, che nel momento culminante si infortunò: infatti Red vinse il titolo da centro). Una decina d’anni da negoziante di articoli sportivi, una quindicina da responsabile vendite presso varie aziende e tre di lotta contro il cancro. Poi se ne è andato ai sessantacinque, lasciando la moglie Janie dopo 39 anni di matrimonio e tanti ex bambini ammiratori del suo coraggio. Al Salt Palace come al Palalido.

Potrebbe interessarti anche

  • preview

    Lacrime di Antonini

    Oscar Eleni accompagnato da una volpe grigia e dal condor che governa una delle meraviglie in Patagonia, la Torre del Paine. Luogo ideale per i pentimenti all’ora della colazione, quando rinneghi tutto quello che non hai fatto nei giorni in cui la testa aveva perso la bussola seguendo tavoli di pace pieni di bombe, fanfaroni […]

  • preview

    La terza stagione di Winning Time

    Gli 80 anni di un’icona anni Ottanta come Pat Riley ci suggeriscono una domanda scomoda, di quelle che soltanto su Indiscreto vengono fatte: perchè non è stata fatta una terza stagione di Winning Time? Sì, la serie televisiva tratta dal belissimo Showtime, di Jeff Pearlman e basata proprio su quei Lakers, con Riley interpretato da […]

  • preview

    Storie da Peterson

    Oscar Eleni stregato dal pappagallo Ara macao scarlatto, confuso dall’incenso che fa inciampare  sui primi gradini, ce ne sarebbero 999 da affrontare, per arrivare alla porta del paradiso sulle montagne cinesi. Facciamo da scorta a un genio che sta cercando serpenti, uccelli rari, ma, soprattutto, il panda. Bella gita, salutare per non dover dire a […]