Il contratto di Mancini

18 Novembre 2020 di Indiscreto

L’Italia di Mancini gioca bene e ha ridato alla Nazionale un’immagine pulita e positiva, al di là dei risultati dell’Europeo 2021 e del Mondiale 2022, se mai si giocheranno. Però ci sembra di ricordare che in due anni l’unica vittoria contro una squadra nei primi 50 posti del ranking FIFA sia stata proprio quella, peraltro molto convincente, di domenica scorsa contro la Polonia (Correzione: anche l’Olanda). Per questo il dibattito tutto mediatico sul suo contratto, come se fosse un’emergenza del Paese, ci sembra surreale.

Intanto perché un contratto c’è già, fino al Mondiale qatariota. E Gravina, che essendo arrivato ‘dopo’ Mancini non lo ha scelto, è stato un po’ tirato in mezzo dai media che hanno abbracciato la narrazione dell’Italia dei giovani. Uno schema non inedito, che da quando leggiamo abbiamo notato in tutte le epoche successive a un disastro: l’Italia di metà anni Settanta di Bernardini e Bearzot (anche lì ci fu una fase in cui veniva convocato chiunque), quella di Vicini dal 1986 almeno fino all’Europeo in Germania, quella di Prandelli dopo la fine dell’era Lippi.

Senza troppa dietrologia, ma se leggete Indiscreto almeno un po’ dovete accettarla (se no ci sono il Televideo e gli account social ufficiali), dal punto di vista politico dire Mancini è un po’ come dire Malagò ed in questo momento il presidente del CONI si sta giocando la partita della vita cercando di salvare tutte le sue poltrone, a partire dal ruolo decisivo nei Giochi del 2026.

Non è che la FIGC, una federazione che giustamente se ne è sbattuta del populista (in quel momento storico, oggi sarebbe diverso) ‘blocchiamo tutto’ del CONI che puntava l’indice contro il calcio irresponsabile che andava avanti, muoia dalla voglia di firmare cambiali in bianco visto come cambiano le situazioni da una partita all’altra. Bravissimo Mancini, ma non è che con un contratto a vita lavorerebbe meglio.

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