Hayao Miyazaki, la poesia degli anime

17 Settembre 2013 di Paolo Morati

Hayao Miyazaki

Dunque Hayao Miyazaki ha annunciato che non realizzerà più lungometraggi d’animazione. Anche se non abbiamo ancora visto il suo ultimo film Si alza il vento (Kaze tachinu), in cui racconta la storia dell’ingegnere aeronautico Jirō Horikoshi, l’occasione ci permette comunque di parlare del 72enne regista e autore nipponico.

Per molti in Italia il primo incontro con la sua opera avviene inconsapevolmente nel 1978 quando la RAI trasmette l’anime Arupusu no Shōjo Haiji, ossia Heidi. Siamo bambini e nella nostra memoria rimane sì impressa l’immortale sigla cantata da Elisabetta Viviani tra monti che sorridono e caprette che fanno ciao, ma anche la magnificenza degli scenari curati dalla mano giapponese, solo un piccolo esempio di quello che sarà poi capace di fare negli anni a venire. Un anno dopo arriva anche da noi la prima serie (giacca verde, datata in origine 1971) di Lupin III (Rupan Sansei), con alcuni episodi diretti da Miyazaki che proprio nel 1979 realizza con lo stesso personaggio il meraviglioso film Il Castello di Cagliostro (Kariosutoro no shiro), primo suo lungometraggio dove affiora già appieno quella poetica narrativa tratto distintivo di tutta la sua opera.

A seguire altri film negli anni ’80, a cominciare da Nausicaä della Valle del vento (Kaze no tani no Naushika) che anticipa la fondazione del leggendario Studio Ghibli, passando per Laputa – Castello nel cielo (Tenkū no shiro Rapyuta), Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro) e Kiki – Consegne a domicilio (Majo no takkyūbin). Tutti rimasti per troppo tempo semisconosciuti in Italia e non solo, in un periodo in cui in Occidente l’animazione che conta è in gran parte ancora sinonimo di Disney, la Pixar muove i primi passi, e si ignora colpevolmente quanto avviene in un Oriente demonizzato fin dai tempi dello sbarco di Goldrake su Rai 2.

Degli anni ‘90 sono Porco Rosso (Kurenai no buta) e il meraviglioso Princess Mononoke (Mononoke-hime) uscito nel 1997 e da noi solo tre anni dopo, sostanzialmente primo passo per portare finalmente Hayao Miyazaki sulle prime pagine di chi si occupa di cinema. Arrivando fino al premio Oscar vinto nel 2003 con La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi). Poi l’entusiasmo tardivo traina l’interesse per i successivi Il castello errante di Howl (Hauru no ugoku shiro) e Ponyo sulla scogliera (Gake no ue no Ponyo) che ottengono la giusta attenzione, favorendo una riscoperta anche della vecchia produzione.

In tal senso per conoscere appieno Hayao Miyazaki bisogna fare un salto indietro fino al 1978 con l’imprescindibile serie animata Conan il ragazzo del futuro (Mirai shōnen Konan) dove sono presenti diverse tematiche care all’autore, con i ragazzi messi spesso al centro di avventure  ed esperienze dove la crescita della persona si accompagna al sentimento dell’amore come soluzione eccelsa dei problemi. I 26 episodi di Conan (ispirato al romanzo The Incredible Tide di Alexander Key), trasmessi in Italia la prima volta nel 1981 sull’onda delle tante serie arrivate dal Giappone, rappresentano in questo senso un piccolo capolavoro per la capacità di appassionare e offrire un senso estremo di pulizia e semplicità, di lotta per la giustizia, insieme a un modo di concepire l’animazione, la più tradizionale possibile, dal quale fortunatamente Miyazaki non si è mai staccato. Qualcuno potrà anche dire che oggi è sorpassato, noi lo ringraziamo di cuore proprio per questo.

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