Editori per caso

Giornalisti per hobby

Stefano Olivari 11/03/2014

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Le news sono commodities, raccontano in cialtronese le concessionarie di pubblicità per giustificare la loro incapacità. Sarà anche per questo che i giornalisti non vengono più pagati, dalla maggior parte dei committenti, mentre quei pochi illuminati tendono a pagarli sempre meno in modo da poter sostenere le note spese di inviati che fanno viaggi transoceanici per copiare dalla televisione. E poi magari si lamentano perché la redazione viene spostata in periferia (la periferia, orrore!). Dai ieri sul web circola una nota con i compensi dei collaboratori della Gazzetta dello Sport, rivisti ovviamente al ribasso. In pratica un articolo di apertura per l’edizione nazionale, cioè quello principale o unico in pagina, verrebbe retribuito 50 euro lordi (a prescindere da dove venga scritto, dalla tazza del cesso o dopo mille telefonate e spostamenti), mentre una notizia in breve per le edizioni locali viene pagata 8. In mezzo una casistica affollata, con tendenza alla miseria. Questa nota ha scatenato ironie e indignazioni, in quello che poveretti prestati al giornalismo continuano a definire ‘popolo del web’, ma anche qualche commento interessante come quelli di Giovanni Capuano e di Carlo Gubitosa (fra l’altro è sul blog di Gubitosa che abbiamo appreso del documento). La situazione reale del resto dell’editoria italiana è molto peggiore di quella dei collaboratori Gazzetta, questo possiamo aggiungerlo senza timore di smentita (e magari producendo le fatture), ma in merito non abbiamo un’opinione corporativa. Semplicemente la maggior parte delle persone non dà alcun valore alla qualità di ciò che legge, ammesso che legga, mentre quella parte di pubblico davvero interessato ad informarsi non ha numeri tali da sostenere tutte i giornali, i siti, le radio e le televisioni ora esistenti. Per decenni la fortuna dei giornalisti sono stati i demonizzati editori ‘impuri’, cioè gente che tiene in vita giornali in perdita solo per sostenere politicamente altri e più lucrosi affari. Senza queste stampelle il giornalismo in un paese in cui si legge poco ha ovvie difficoltà. Meglio fare altro (magari anche niente) e scrivere per hobby, quando e se ne abbiamo voglia. Una situazione ben delineata dal tariffario, che identifica involontariamente il collaboratore tipo: studente universitario con genitori disposti a mantenerlo fino ai 30 anni, prima di sbatterlo fuori di casa. Chi è oltre questa età, cioè quella limite dell’adolescenza secondo gli antichi Romani (altro che i 18 anni, non siamo in Svezia…), farebbe bene a pensare a un lavoro serio. O comunque a un lavoro: prodotto/servizio, più o meno di qualità, in cambio di un compenso. Il resto è indignazione, magari da parte di chi non compra un giornale da anni.

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