Fra Air e Converse

5 Aprile 2023 di Stefano Olivari

Abbiamo da poco visto Air – La storia del grande salto, il racconto dell’evento più importante nella storia del marketing sportivo, cioè la firma di Michael Jordan con la Nike. Mentre oggi sembra normale che un potenziale fuoriclasse della pallacanestro sia sponsorizzato dall’azienda dell’Oregon, nel 1984 non lo era affatto ed è proprio questo che racconta il film di Ben Affleck, che ha come protagonista non Jordan (si vede in pochissime scene) ma un Matt Damon imbolsito ad arte, nella parte di Sonny Vaccaro, dirigente della marginale sezione pallacanestro della Nike, che non riusciva mai ad agganciare quelli veri.

Per chi era bambino o ragazzino negli anni Settanta ed inizio Ottanta, e questo Air lo ricorda molto bene, le scarpe fighe da pallacanestro erano le Converse, con le Chuck Taylor All-Star e le loro variazioni. La loro caratteristica principale è che erano scarpe indossate magari anche nel tempo libero, ma in ogni caso quasi unicamente da chi giocava a pallacanestro. Erano un po’ come un segno di appartenenza, cosa che negli anni Ottanta sarebbe cambiata soprattutto con le All-Star basse (il modello comprato da Sport Ok in via Marghera ha appena compiuto 38 anni). Poi c’erano le Adidas, che si giocavano la carta multisportiva e che nel basket avevano successo con il modello Superstar (quello di Jabbar, fra gli altri). Ed infine le altre, fra cui Nike e Puma.

Ci fu un momento, citato giustamente in Air, in cui le Converse (modello Pro Leather, aggiungiamo noi del minibasket Mobilquattro con genitori veri, poco sensibili alla fissazione criptogay per i marchi: si andava di Mecap, Tepa o roba del genere) erano indossate da Doctor J, Magic e Bird. E poi venne Jordan. Ma la Converse non andò subito a picco, come suggerisce il film: pur perdendo quote di mercato continuò ad avere successo e fece centro anche con un terzo modello di culto, The Weapon. E nel 2003 l’azienda fu pagata dalla… Nike 309 milioni di dollari, per Phil Knight (nel film interpretato da Affleck, in certe scene uguale a Dargen D’Amico) un affarone visto che l’ossessione per il vintage sarebbe scattata soltanto dopo.

E la recensione del film? L’abbiamo già scritta: copiare, anche da noi stessi, ci annoia. Molto ben fatto, si tratta di un gigantesco e un po’ superficiale spottone per la Nike, con tanto di cazzute massime da cazzuto manager americano (chi si ricorda dello One Minute Manager?). Ma non ci aspettavamo altro e lo consigliamo, due ore che passano bene riaccendendo tanti fuochi. Quando passerà in televisione, pensiamo su Amazon, lo rivedremo. Quasi totale assenza di donne, esclusa la madre di Jordan, Deloris, e di cattivi, da film di Veltroni. Ma meglio queste marchette di quella che sta passando a Sky, Buffa racconta Boglione. Gli americani le sanno fare.

stefano@indiscreto.net

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