Foppe il grigio

2 Luglio 2007 di Alec Cordolcini

Dopo Guus, solo Foppe. In Olanda mister De Haan è l’uomo del momento, tanto che il 75% dei calciomani lo vorrebbe sulla panchina della nazionale maggiore al posto di Marco van Basten. Se il primo Europeo under-21 vinto lo scorso anno era infatti stato visto come il giusto riconoscimento alla carriera di una persona che per oltre vent’anni aveva insegnato calcio in quella provincia, Heerenveen nel suo caso, lontana dalle luci dei riflettori ma vicina al cuore di tifosi e giocatori (provate a chiedere a Ruud van Nistelrooy con quale dei tanti allenatori avuti in carriera si sia trovato meglio…), il recente successo ha fatto capire di non avere di fronte solo il classico personaggio di culto capace di portare l’Heerenveen, diciamo una sorta di Atalanta olandese, in Champions League bensì un signor allenatore che sa vincere senza proclami rivoluzionari o improbabili filosofie tecnico-tattiche. Foppe de Haan, la cui signorilità e gentilezza costituiscono una nota di ulteriore merito in mezzo all’ordinaria maleducazione dell’odierno mondo pallonaro, è il vero simbolo dell’Olanda under-21 bicampione d’Europa.

La flessibilità mostrata nell’adottare uno schema tattico, il 4-4-2, modellato sulle caratteristiche dei giocatori a disposizione, rappresenta una qualità meno scontata del previsto in un tecnico proveniente da una scuola calcistica, quella olandese, in cui vige il dogma del tridente, autentico scoglio contro il quale negli ultimi anni si sono ripetutamente infranti i sogni della nazionale maggiore oranje, ultimo esempio il Mondiale in Germania, e del maggiore club del paese, l’Ajax. Fino alla vigilia della semifinale contro l’Inghilterra Johan Cruijff non ha esitato a puntare l’indice contro De Haan e il suo modulo “che fa a pugni con la storia del calcio olandese”, ottenendo per contro dal diretto interessato una pacatissima replica: “Cruijff vede il mondo diviso in bianco e nero, io non disdegno il grigio”. Tira aria di controrivoluzione in Olanda; dalle colonne del settimanale Voetbal International è apparso un commento che solamente fino a qualche mese fa sarebbe stato tacciato di pura eresia. “L’Olanda a due punte di De Haan è più offensiva di quella a tre punte di Van Basten”. Il primo, si legge nei vari articoli di commento, si è inventato un attacco a due senza una prima punta di ruolo (l’unico in rosa, Tim Janssen dell’Rkc Waalwijck, era ancora troppo tenero) puntando sul semi-sconosciuto Maceo Rigters, modesta ala del Nac Breda, e sul giocoliere Ryan Babel, straordinario tecnicamente ma poco avvezzo al gol, ed ha ottenuto rispettivamente il capocannoniere e il miglior giocatore (secondo il giudizio Uefa) del torneo; il secondo ha cambiato giocatori come fazzoletti dichiarandosi di volta in volta poco soddisfatto dei vari Van Nistelrooy, Kuijt, Huntelaar, Vennegoor of Hesselink e Koevermans, le cui medie in maglia oranje non brillano.

Non sono però stati solo gli attaccanti a beneficiare della cura De Haan, che per inciso con il suo Heerenveen ha sempre giocato con il tridente: basti pensare a Royston Drenthe, liberato da compiti di copertura come terzino sinistro e spostato a centrocampo dove ha potuto esibire una serie di numeri di alta scuola, a Ottman Bakkal, trasformato da ibrido jolly del Twente in ficcante incursore, al rigenerato Hedwiges Maduro e a quel Daniel de Ridder che azzecca solo un paio di partite all’anno ma lo fa nei momenti importanti. Senza dimenticare gente come Ryan Donk, secondo De Haan il nuovo Stam, Gianni Zuiverloon, meno falloso e più maturo rispetto al passato, e il 19enne Erik Pieters, titolare a sorpresa nel finale del torneo senza sbavature di sorta. Eppure le assenze iniziali erano pesanti: Afellay, Schaars, Emanuelson, Sno e, dalla prima partita, Aissati. L’unico neo ha riguardato il portiere, dove sia Boy Waterman che Kenneth Vermeer non hanno fornito adeguate garanzie. Come terzo c’era Tim Krul, la grande e forse unica speranza oranje del futuro tra i pali.

Due parole infine sull’organizzazione; senza gli integralismi tattici di un Van Gaal (comunque un grande, è bene precisarlo) o i metodi da Full Metal Jacket di Co Adriaanse (vedi la parentesi precedente), De Haan ha saputo proporre una squadra solida in cui fantasia e disciplina si sono amalgamate più che discretamente, senza dubbio aiutato anche dalla duttilità di molti degli elementi a disposizione, in grado di ricoprire più ruoli come vuole la tradizione calcistica olandese. Oggi in Olanda l’uomo di Lippenhuizen, piccolo villaggio immerso nel mare verde che separa Drachte da Heerenveen, è considerato l’allenatore perfetto, Hiddink ovviamente escluso. Valorizza i talenti e vince, difficile chiedere di più. D’ora in poi Marco van Basten si sentirà ancora più solo.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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