Svegliarino

Effetto Ibrahimovic

Stefano Olivari 16/05/2011

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di Stefano Olivari
Come da noi anticipato…no, non avevamo anticipato né capito alcunché. Abbiamo tutti sopravvalutato il valore politico del calcio, noi peones ma anche insigni sondaggisti che valutano (valutavano?) in un 2% su base nazionale gli effetti positivi di una vittoria del Milan o di un grandissimo colpo di mercato.
Forse gli stessi sondaggisti (Digis) i cui ‘intention poll’ diffusi nel pomeriggio su Sky davano la Moratti al 47,5: considerando la siomma algebrica, un errore di quasi 10 punti percentuali, roba che si faceva prima a chiedere al salumiere ‘Oggi chi vince?’ mentre ti stava porgendo il gorgonzola. Ma torniamo al mitico 2%, prendendolo per buono. Un 2% che su base strettamente milanese vale di più, intorno al 5, per evidenti motivi (ci sono più milanisti a Milano che a Napoli o Bologna). Chiunque diventi alla fine sindaco di Milano, moglie annoiata di petroliere di destra o ex estremista di sinistra, non lo diventerà per merito del calcio a meno che il sostegno di Vecchioni non abbia convogliato voti interisti su Pisapia e che in fondo il calcio porti più antipatie che simpatie (la maggior parte dei pubblicitari lo pensa, tanto è vero che funzionano solo personaggi trasversali come Del Piero o la versione edulcorata di Totti). Tutto può essere, ma dopo un anno in cui noi per primi abbiamo dispensato certezze sul valore elettorale di Ibrahimovic forse è il caso di dire che il calcio si interseca con la politica solo in quanto addormentatore delle coscienze e come controllo sociale: milioni di uomini nervosi, senza niente da fare, sono un pericolo per qualsiasi regime. Poi ci sarà chi obbietterà che senza scudetto i risultati del Pdl sarebbero stati ancora peggiori, che a Napoli è stato un trionfo (come dire: non era la Champions l’obbiettivo di quest’anno), che la Lega è stata ambigua: a questo punto ci arrendiamo. Il calcio conta solo per il tempo che ci fa perdere, ma non coincide con la vita e sembra nemmeno con la politica. 

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