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Formula 1

Drive to survive 5, tutti contro Binotto

Stefano Olivari 07/03/2023

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Max Verstappen e poi il vuoto, un po’ come nella Formula 1 vera. Abbiamo finito di guardare su Netflix la quinta stagione di Drive to survive proprio la domenica del Gran Premio del Bahrain, prima gara del Mondiale 2023, e dobbiamo dire che a questo giro le dieci puntate si sono un po’ trascinate, nonostante per la prima volta il pilota olandese sia stato collaborativo. Del resto questo documentario è coprodotto dalla Formula 1 stessa, giornalisticamente è quindi spazzatura già nelle premesse, ma nelle precedenti stagioni almeno si era giocato sulle rivalità fra piloti della stessa squadra e fra team principal di squadre diverse, ovviamente con il duello Chris Horner-Toto Wolff a farla da padrone.

In Drive to survive 5, racconto non necessariamente cronologico del Mondiale 2022, i toni sono stati molto smussati ed alla fine l’unico episodio con un po’ di pepe è stato quello in cui si è parlato dello sforamento del budget cap da parte della Red Bull. Per il resto è un prodotto che rispecchia questa Formula 1 dell’era Liberty, sempre più in mano ai soldi arabi (quattro GP, oltre alle magasponsorizzazioni) e con il dichiarato proposito di conquistare anche gli Stati Uniti. Insomma, non si può dare fastidio a nessuno e quindi si punta su un mercato piloti stile valzer dei portieri di David Messina, raccontando storie (Alonso all’Aston Martin, Gasly all’Alpine, Ricciardo senza macchina) che chiunque sa già come sono andate a finire.

Per essere una serie rivolta ad un pubblico generalista manca clamorosamente il contorno: con tutte le storie personali e gli intrecci familiari, anche di personaggi minori, si poteva tagliare qualche inutile faccetta di Guenther Steiner e qualche intervento dei giornalisti (davvero imbarazzanti, sulle prime avevamo incolpato il doppiaggio ma l’originale è anche peggio per banalità ed equilibrismo), per fare qualche domanda a Geri Hallywell (come nelle stagioni precedenti) o Kelly Piquet (il fascino eterno della nave scuola). In assoluto poche donne, né con un ruolo di responsabilità né di tipo decorativo: effetto della tenaglia arabo-statunitense tanto amata da giornalisti-commercialisti CEPU, quelli dello stadio di proprietà.

Così alla fine, in maniera piuttosto vile visto che non c’è più, l’unico personaggio trattato davvero male è stato un super-ingegnere come Mattia Binotto. Certo il muretto Ferrari ha commesso molti errori (Monaco, Silverstone Budapest sul podio in negativo), ma non bisogna dimenticare che dopo le prime tre gare la Red Bull ha fatto un salto di qualità e nessuna strategia avrebbe permesso di battere Verstappen. Ma al di là delle colpe di Binotto, che però con la F1-75 una gran macchina l’aveva tirata fuori, anche in un prodotto pettinato e innocuo come Drive to survive 5 si trova qualche scampolo di verità. Magari non nelle parole ma nelle facce sì. Per questo rimane una serie che si guarda con interesse, anche se la formula andrebbe rinnovata così come è stata rinnovata (in meglio, per quanto riguarda la pista) la Formula 1.

stefano@indiscreto.net

Max Verstappen and then the void, a bit like in real Formula 1. We finished watching the fifth season of Drive to Survive on Netflix on the Sunday of the Bahrain Grand Prix, the first race of the 2023 World Championship, and we have to say that this time around the ten episodes dragged a bit, despite the Dutch driver being cooperative for the first time. After all, this documentary is co-produced by Formula One itself, so journalistically it is rubbish, but in previous seasons at least it had played on the rivalries between drivers of the same team and between team principals of different teams, obviously with the Chris Horner-Toto Wolff duel being the main focus.

In Drive to Survive 5 the tones have been toned down a lot and in the only episode with a bit of spice was the one where Red Bull’s budget cap overrun was discussed. For the rest, it is a product that reflects the Liberty-era in this Formula 1, increasingly in the hands of Arab money (four GPs, plus big sponsorships) and with the declared intention of conquering the United States as well. In short, no one can be bothered, and so the focus is on a driver’s market, telling stories (Alonso at Aston Martin, Gasly at Alpine, Ricciardo without a car) that everyone already knows how they turned out.

For a series aimed at a generalist audience, the outline is glaringly lacking: with all the personal stories and family plots, even of minor characters, one could have cut out a few useless Guenther Steiner faces and a few interventions by journalists (really embarrassing), to ask a few questions to Geri Hallywell (as in previous seasons) or Kelly Piquet. Absolutely few women, neither with a role of responsibility nor of a decorative kind: the effect of the Arab-American pincer.

So in the end, in a rather cowardly way, the only person treated really badly was a super-engineer like Mattia Binotto. Of course the Ferrari team made many mistakes (Monaco, Silverstone Budapest on the podium in a negative way), but we mustn’t forget that after the first three races Red Bull made a quantum leap and no strategy would have allowed to beat Verstappen. But even in a innocuous product like Drive to Survive 5 one finds some remnants of truth. Maybe not in the words, but in the faces. That is why it remains a series that one watches with interest, even if the formula should be revamped in the same way that Formula 1 has been revamped (for the better, as far as the track is concerned).

 

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