Televisione

Drag Race Italia, il perché delle Drag Queen

Stefano Olivari 12/11/2021

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Dopo avere assistito alla presentazione di Drag Race Italia la domanda scorretta è nata subito nella nostra testa: qualcuno sentiva il bisogno di un talent show per eleggere la migliore drag queen d’Italia? Domanda che non ha alcuna componente etica, morale o moraleggiante, anzi senz’altro meglio vivere in un paese con i talent sulle drag queen che in un paese islamico o nella Cina di quello che Di Maio genialmente definì ‘Ping’. Parliamo proprio del pubblico: chi può essere interessato alla trasmissione di Discovery+, 6 puntate da 75 minuti l’una prodotte da Ballandi in onda dal 19 novembre, che avranno come giudici fissi Chiara Francini, Tommaso Zorzi e Priscilla?

Di sicuro non è un salto nel buio, visto che il format creato dalla famosa, o famoso, RuPaul ha successo in tanti paesi da oltre dieci anni, quindi nella parte civile del mondo un pubblico esiste ed è probabile che la trasmissione di Discovery abbia successo. Da noi le otto concorrenti si sfideranno mettendo in campo tutta la creatività possibile, perché al di là di pallosi discorsi sul mondo LGBTQ+ e sulla fine della sessualità binaria quello delle drag queen è un mondo basato fondamentalmente sul fare spettacolo esasperando alcune caratteristiche femminili. Per l’Italia delle sorelle Bandiera nemmeno una grande novità.

Le otto drag queen di Drag Race Italia, scelte fra mille aspiranti: Ava Hangar, 36 anni di Carbonia, Divinity, 27 anni di Napoli, Elecktra Bionic, 27 anni di Torino, Enorma Jean, 46 anni di Milano, Farida Kant, 33 anni di Lecce, Ivana Vamp, 32 anni di Arezzo, Le Riche, 35 anni di Palermo, Luquisha Lubamba, 33 anni di Bologna. Di sicuro oltre che sulle prove basate su musica, moda, intrattenimento, eccetera, si punterà molto anche sulle storie personali. Che in comune hanno una partenza biologica maschile, se ci passate il termine, e nella quasi totalità dei casi anche l’omosessualità. Non necessariamente storie tristi: conosciamo un medico, siamo anche stati al suo matrimonio, che di sera fa la drag e ha sempre vissuto benissimo. Certo il 99,9% dei nostri conoscenti non è così, ma noi siamo troppo pancia del paese.

Cosa non ci è mai piaciuto delle drag queen? Innanzitutto l’aspetto estetico: sono orribili, a prescindere dall’inclinazione sessuale. Certo sono dichiaratamente caricature di donne, o di alcuni aspetti dell’immagine tradizionale femminile, con quintali di trucco, ma non per questo dobbiamo farcele piacere: se siamo etero guardiamo Sophie Marceau, se siamo gay guardiamo Brad Pitt, se siamo asessuati-impotenti guardiamo la Bundesliga o Bucciantini che discute dell’Empoli con Marchegiani, ma se guardiamo le drag queen che cosa siamo?

In secondo luogo ci sembrano confermare una tesi che molte femministe storiche stanno portando avanti: in un mondo senza barriere e con identità sessuali vaghe, le prime vittime saranno le donne. Woman is the nigger of the world (cit.). Infine questa storia dell’inclusività da battaglia di civiltà ormai diventata un ricatto continuo: devi parti piacere, o assumere, o esaltare, persone che se avessero il gender ‘di una volta’ non considereremmo nemmeno. Senza contare le continue dispute terminologiche, come quella fra drag e travestiti (in sintesi: RuPaul è drag, i Legnanesi travestiti). Però la trasmissione ci ha incuriosito e la nostra vocazione al cazzeggio ci spingerà a guardare almeno la prima puntata per poi poterne parlare.

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