Diamante nella spazzatura

30 Marzo 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Compie sessant’anni Chuck Jura, idolo assoluto della nostra infanzia e non solo perchè è stato fra i più forti giocatori che abbiano frequentato il basket italiano. Undici stagioni: sette alla Mobilquattro-Xerox Milano, due a Mestre, una a Bergamo e una a Roma.
Idolo generazionale, campione disponibile non solo fuori tempo massimo ma anche nei suoi giorni di gloria (un bambino del minibasket queste cose le ricorda), persona intelligente che ha vissuto bene fuori dal campo senza bisogno di operazioni nostalgia o ruoli onorifici mendicati presso il potente di turno. Siamo felici, noi e l’amico Giorgio, di avere scritto e prodotto un libro da bagno di sangue finanziario (poi diventato ‘solo’ un’onorevole perdita grazie a tanti singoli appassionati che ci hanno dato fiducia) per rendere onore a lui e alla generazione della pallacanestro: la cosa migliore fatta in vita nostra, con la seconda che nemmeno viene in mente.
Il ritorno di Jura in Italia, lo scorso novembre, ci ha regalato tanta gioia ma anche tanta amarezza. Prima di tutto perchè gli occhi di chi mancava da decenni hanno visto meglio dei nostri lo stato del basket italiano, al cui declino ci siamo forse abituati. Squadre senza identità né tecnica nè sentimentale, allenatori costretti a usare solo due schemi, interesse di pubblico e mediatico inferiore a trent’anni fa quando sui quotidiani generalisti c’erano i tabellini di A2 (adesso a malapena si trova la classifica della serie A, però i giornalisti di settore sono bravissimi nelle delazioni da parrocchietta tipo ‘Hai visto cosa hanno osato scrivere questi qui?’). Squallore in serie A, festa del pick and roll e dei giocatori con orizzonti di un mese, ambizioni sbagliate nelle categorie inferiori (una stagione in A Dilettanti, quindi in una reale serie C, può costare un milione e mezzo di euro). Ma soprattutto tristezza nelle cosiddette minors, mitizzate da chi non ne ha mai visto una partita. Quarantenni con la pancia ai quali la natura ha dato due metri di altezza ma poco altro, bomberini di categoria che strappano stipendi da impiegato anche in C Regionale (media paganti 8 a partita), spettatori a volte più incivili ed aggressivi dei peggiori ultras, arbitri intimiditi. Il tutto a margine della sagra del nero e della sovrafatturazione, complice la contabilità semplificata ed il trucco dei rimborsi spese che rende convenienti molte sponsorizzazioni soprattutto allo…sponsor.
La vera amarezza è arrivata però dal constatare una volta di più, diciamo la milionesima, come tifosi ed appassionati vivano lo sport in maniera fondamentalmente diversa rispetto ai protagonisti. Niente che non sapessimo già, ma vedere questo meccanismo applicato a te e alla squadra per cui hai giocato e pianto (non metaforicamente) fa sempre male. Leviamo dal discorso persone di livello superiore incrociate durante il cammino: lo stesso Jura, imprenditore di successo senza bisogno di far parte di un ‘giro’, Antonio Rodà, Dante Gurioli, Dido Guerrieri, Guido Carlo Gatti, Fabio Guidoni. In tutti gli altri casi abbiamo visto riaffiorare vecchi rancori, invidie personali e pochi veri ricordi sportivi di un’epoca. Salviamo, contrariamente a quanto facciamo di solito, i presidenti della nostra storia: sbeffeggiati dalla stampa quando spendevano cifre morattian-berlusconiane e facevano promozione vera fra i giovani (è il caso di Giovanni Milanaccio, il signor All’Onestà), quando avevano un progetto di giovani da far crescere intorno a un campione (Caspani, il signor Mobilquattro) e anche quando volevano coniugare l’aspetto etico dello sport con quello agonistico (Fabio Guidoni, che da allenatore vinse la Coppa Campioni con il Geas di Mabel Bocchi e che da dirigente si è fatto venire quattro infarti per una realtà che non lo meritava). Gente vera, che ci ha messo e rimesso soldi veri senza nemmeno godere della mitizzazione acritica di cui godono i Bulgheroni della situazione presso chi pensa e vive in maniera ‘minor’. Gente vera che giustamente si è poi occupata della propria famiglia e delle proprie aziende, lasciando al loro destino il basket del professionismo sfigato e i giornalisti ottusi genere ‘A Milano esisti solo se vinci lo scudetto’. Un po’ di delusione, in definitiva, ma anche un’esperienza utile a capire che senza un pubblico appassionato non avrebbero valore nemmeno Rooney o Bolt.
Delusione, ma anche gioia per avere ritrovato facce conosciute giovani al Palalido e soprattutto Chuck Jura. Non era solo un poster, lo abbiamo sempre saputo. Auguri, diamante capitato per caso nella spazzatura delle nostre vite e del nostro basket. Ci hai regalato i tuoi anni migliori e noi ti abbiamo dedicato i nostri. 
Stefano Olivari

Share this article