De Gregori con il mojito

30 Novembre 2012 di Stefano Olivari

Francesco De Gregori si ostina a 61 anni scrivere canzoni nuove. E fa bene, perché Sulla Strada è il suo album (termine che fa automaticamente vecchio…) interamente da studio secondo noi più ispirato da molti anni a questa parte: per trovarne uno di livello nettamente superiore, dei 19 che lo hanno preceduto (non contiamo i mille live, live con qualche inedito o greatest hits), bisogna probabilmente risalire a Scacchi e Tarocchi (1985, in collaborazione con Ivano Fossati anche se De Gregori ne era autore unico). Ovviamente nel mezzo non sono mancate perle, su tutte (per noi) La valigia dell’attore e Il cuoco di Salò, ma l’ispirazione non è un cartellino che si possa timbrare sempre. Per questo il concerto dell’altra sera all’Alcatraz di Milano non si è trasformato in quel raduno di reduci (a volte anche di battaglie non combattute) tipico di altri cantautori e a sprazzi anche di De Gregori stesso (la fase con Giovanna Marini non ci ha, come dire, entusiasmato). Merchandising discreto, due bancarelle con magliette del genere ‘Pablo è vivo’, e solita impossibile etichettatura del pubblico di De Gregori: la fighetta con l’iPhone e il sessantenne ex di Autonomia Operaia (magari presente nel 1976 al Palalido in occasione del famoso processo-sequestro), la trentenne con la kefiah e il quarantenne con il mojito in mano (confessiamo l’appertenenza a questo partito: quota di iscrizione 8 euro, almeno all’Alcatraz), la professoressa di lettere sclerata con la borsa a tracolla e il managerino che fotografa tutto, la coppia che ‘Stasera si va ad ascoltare De Gregori’ e la famiglia che lo ha scoperto e apprezzato in contesti diversi. In poche parole, non il pubblico monolitico che potresti trovare dagli One Direction o da Guccini. Il relativo ghiaccio, relativo visto che ai concerti tutti tifano per la stessa squadra, è stato rotto proprio da Sulla Strada ed  abbiamo trovato simpatico nella sua onestà mestierante l’avvertimento iniziale del tipo “Guardate che adesso faccio un po’ di canzoni nuove”. Ci ha ricordato l’avviso fatto dai Nomadi qualche anno fa nella piazza di Cutro (Crotone), davanti a un pubblico peraltro per metà appassionato solo alle loro canzoni recenti: “Tranquilli, Io Vagabondo la facciamo alla fine”. Il multigenerazionale pubblico di De Gregori ha capito, sopportato e supportato. Fra l’altro, come detto, il nuovo disco è davvero di qualità, folk-rock dentro e fuori. Effetto Carlo Conti per le esecuzioni di Viva l’Italia, Generale (unplugged), La Donna Cannone, eccetera. Chiusura a sorpresa, elvissiana ma senza imitazioni ridicole (anche perchè oltre a The King l’hanno cantata davvero tutti, da Bob Dylan a Nek), con Can’t help falling in love. Un De Gregori molto in forma, poco ‘politico’ e molto attento a non fare la vecchia gloria: il fatto stesso che abbia eseguito i classici in maniera istituzionale, senza rivisitazioni e storpiature alla Baglioni, indica che non se ne vergogna perché ritiene di avere anche un presente.

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