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Calcio

Cose di calcio, cose da Toro

Stefano Olivari 30/05/2023

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Il Torino he generato tanta cattiva letteratura, fra Superga prima e la retorica della bella sconfitta poi, per non parlare del cattivo giornalismo dell’era Cairo, ed è per questo che abbiamo letto con grande interesse Cose di Calcio, cose da Toro – Sessant’anni di successi e delusioni nel mondo del pallone, scritto da Beppe e Marcello Bonetto per Edizioni inContropiede. Ovviamente quelli di Beppe, morto nel 2017, sono racconti postumi ritrovati dal figlio Marcello, ma in ogni caso il libro ha il pregio della freschezza pur citando fatti anche di sessanta anni fa: la formula è un po’ quella dell’autobiografia a due voci, un po’ quella dell’aneddoto. Ed ovviamente, anche se c’è una parte importante sul Beppe Bonetto procuratore, strada seguita anche da Marcello, il cuore del libro è il Torino.

Per l’esattezza il Torino di Orfeo Pianelli, club di cui Beppe Bonetto fu direttore generale dal 1964 al 1982 e Marcello soltanto bambino-tifoso. Un Torino che spendeva abbastanza poco, anche se Pianelli era un industriale di buona cilindrata, ma che lo faceva sempre nel modo giusto, per migliorare la squadra e puntare con gradualità allo scudetto. Titolo sotto la gestione Pianelli-Bonetto vinto nel 1975-76 e sfiorato in almeno 2 altre occasioni, senza poi contare le Coppe Italia e la presenza frequente in Europa. Pianelli non era certo una eversore del sistema, nemmeno a livello cittadino visto che era uno dei principali fornitori della FIAT, ma il suo Torino era credibile ed aveva una identità fortissima.

Non vogliamo togliere il piacere della lettura, quindi fra i mille aneddoti su Pulici e Graziani, Caporale e Claudio Sala, Santin e Zaccarelli, ne segnaliamo uno che ci è rimasto impresso e che non conoscevamo, quello su Antognoni al Torino. Nel 1970, da sedicenne, il futuro campione del mondo viene scovato in una squadra minore di Perugia, la Juventina, e viene bloccato da Pianelli, che lo fa tesserare dall’Asti Ma.Co.Bi, club di serie D di proprietà del vicepresidente del Torino, Bruno Cavallo. Il futuro granata di questo centrocampista potenzialmente straordinario, inseguito da mezza Italia, è già scritto, ma nel 1972 Liedholm lo vuole alla Fiorentina ed il presidente Ugolini lo accontenta spendendo una cifra notevolissima per un adolescente con qualche presenza in Serie D. Cavallo si rimangia la parola data a Pianelli ed Antognoni andrà a fare la storia della Fiorentina.

Ma il Torino il suo scudetto lo vince lo stesso e senza l’infortunio di Pecci lo avrebbe rivinto l’anno seguente, formando insieme alla Juventus la rosa della Nazionale di Bearzot al Mondiale del 1978. Un gruppo costruito pezzo per pezzo dal club, più che dall’allenatore (infatti Radice arrivò nell’estate 1975, abbastanza per caso, quando sembrava già certa la sua firma per la Lazio), con nomi che tutti ricordano. E poi, certo, nel libro ci sono tante storie di calciatori e dirigenti del trentennio da procuratori con quasi 300 assistiti, ma per noi (che non ne siamo tifosi, oltretutto) c’è soprattutto la storia di una squadra vissuta dal di dentro. Libro giusto con il tono giusto, molto preciso nei riferimenti, senza mai scrivere ‘ai miei tempi’ e senza vendere una presunta unicità del Torino.

stefano@indiscreto.net

 

 

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