Cinema

Challengers

Stefano Olivari 02/05/2024

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Challengers è un film da guardare? Seconda domanda, questa da giornalista collettivo: Challengers è un film gay? L’ultima opera di Luca Guadagnino, che nei suoi primi giorni al cinema sta andando benissimo, non ha sorpreso chi, come noi, l’ha guardata spinto sia dai suoi precedenti film sia dal tennis che fa da sfondo alle vicende dei tre protagonisti. Su tutti Tashi, interpretata da Zendaya, ex grande promessa del tennis diventata allenatrice di Art, che poi diventerà anche suo marito oltre che un giocatore di alto livello, in mezzo a un triangolo con Patrick (non spoileriamo oltre), anche lui tennista oltre che amico ed ex compagno di doppio di Art. La parte sportiva è ovviamente un pretesto, anche se questo può essere definito uno dei pochi veri film sul tennis, escludendo biopic e documentari.

Veniamo al punto. Challengers è più gay nei trailer e in certe recensioni che nella realtà, almeno ad un primo livello. Perché al di là del cameratismo, che riaffiora anche a distanza di anni, entrambi sembrano volere la ragazza. Certo tante inquadrature omo, a partire da quelle negli spogliatoi, vanno a parare proprio lì, senza contare i non detti. Non diciamo, sempre in ottica anti-spoiler, chi farà sesso con chi, ma ci sono vibrazioni in ogni senso. Di sicuro qualcuno scriverà, o avrà già scritto, che i due tennisti facciano sesso fra di loro attraverso la comune amica, ma questo fa parte del solito teorema secondo cui tutti, in fondo in fondo, sono gay. Una vera fissazione, oltre che una tassa per avere buone critiche o comunque non essere attaccati, usando lo scudo stellare dell’omofobia.

Per quanto riguarda il tennis, eravamo curiosi di come Brad Gilbert avesse preparato i tre attori e bisogna dire che tutti e tre in campo sono poco credibili (Zendaya la migliore), ma nessuno è ridicolo. Merito anche della musica, delle inquadrature, del ritmo. Per sua stessa ammissione Guadagnino di tennis non sa niente ed ha quindi avuto buon gioco nel concentrarsi sul lato estetico del gesto (incredibile che ci abbia lavorato Gilbert), della fatica, degli sguardi, del sudore. Certo di scene in campo ce ne sono tante, anche se il regista vuole chiaramente dire altro. Giudizio finale: la storia ci ha preso, anche per i diversi momenti delle vite dei tre e per il fascino delle occasioni perdute, ma è tutta estetica. Ci fa vibrare meno di tanti altri film sul tema bromance. Adesso gettiamo la maschera da Mereghetti dei poveri e teniamo per la fine ciò che davvero volevamo dire: Zendaya non ci accende più di tanto, le scene di tennis ci hanno annoiato meno delle altre. Da vedere al cinema, in televisione meglio le repliche dell’Uomo Tigre (le stiamo guardando davvero).

stefano@indiscreto.net

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